Graziella Romeo, Professore Associato di Diritto Costituzionale alla Bocconi di Milano
6 minuti per la letturaI GIOVANI non si sono disaffezionati dalla Costituzione. Sono invece «delusi dalla politica, dallo scarso decoro del Parlamento». Quando si avvicinano alla Costituzione, ne capiscono la bellezza. Dalla Carta Costituzionale «devono trarre la consapevolezza sia dei loro diritti, che sono tanti, a partire dal diritto di voto, sia delle regole del gioco della convivenza civile che la Costituzione racchiude».
È il pensiero di Graziella Romeo, Professore Associato di Diritto Costituzionale comparato all’Università Luigi Bocconi di Milano e carriera brillante. Classe 1981, natali a Reggio Calabria, la giovane costituzionalista sul divario Nord-Sud osserva: «La questione meridionale non è la bandiera di nessun partito politico. Il Recovery Fund potrà essere un’occasione per lavoro e sviluppo al Sud soltanto se le classi politiche meridionali si responsabilizzeranno e gli elettori capiranno il peso del loro voto».
Come vivono la Costituzione i giovani?
«Sicuramente c’è una scarsa conoscenza della storia costituzionale e quindi anche una scarsa consapevolezza del momento in cui l’Italia nasce come popolo che ha una Costituzione. Dovremmo chiederci quale sia il ruolo di questo aspetto nei programmi scolastici. Mi capita di verificare, durante eventi e dibattiti pubblici, che non ci sia disaffezione tanto verso la Costituzione, quanto piuttosto verso il Parlamento. Vedo una grande sfiducia nella rappresentanza e in particolare nei parlamentari che sono l’elemento che riconduce i giovani alla Costituzione. Penso tuttavia che la Costituzione gli piaccia, perché quando leggono il testo lo trovano bello».
La prima cosa che dice ai suoi studenti?
«Dico sempre due cose. La prima, che la Costituzione, nel contesto in cui possiamo concederci tutte le libertà, di parola, di azione, ci segnala il piano della realtà. Ci dice cioè quello che possiamo o non possiamo fare, le regole del gioco, sulla base di valori che non possono essere messi in discussione, in un mondo complesso dove ci sono anche altri interessi, bisogni, diritti che devono essere presi in considerazione».
La seconda?
«Osservo che la Costituzione per certi versi è un testo quasi letterario. I primi articoli sono molto belli, come poesie, ogni parola è stata pesata».
La cronaca mostra che spesso le regole del gioco vengono infrante da giovani, con fatti di violenza e calpestando la vita. Dove abbiamo sbagliato?
«Penso ancora una volta che la responsabilità sia dell’ignoranza della storia e sia collettiva, non solo della scuola, ma della società civile nel suo complesso, della qualità del dibattito pubblico, dove è poco presente il tema della nostra storia, di come siamo arrivati qui».
Quanta responsabilità hanno la politica e le Istituzioni?
«Credo che la politica abbia delle responsabilità enormi, perché ha dato esattamente il messaggio contrario a quello che la Costituzione sancisce, segnando il limite fra il discorso politico “permesso” e il discorso politico “non permesso”, nell’alveo dei valori che abbiamo condiviso e che ci legano come società. Penso ai valori democratici, della convivenza, del pluralismo delle idee, della tolleranza e della non violenza, e della non imposizione. Viceversa, la classe politica italiana dà spesso il messaggio che tutto può essere discorso politico. E questo è un tema. L’altro tema è quello delle Istituzioni, che devono avere sempre un decoro. Questo significa che certi linguaggi, così come certi abbigliamenti, non possono essere utilizzati, perché chi rappresenta le Istituzioni rappresenta sempre il decoro del potere. Non è naturale che qualcuno comandi su qualcun altro, questo deve essere giustificato. La formalizzazione di questa giustificazione è nella natura “dignitosa” dei riti del potere e cioè nel suo decoro. Quando arriva il Presidente della Repubblica in un evento, tutti si alzano e il Capo dello Stato si presenta e si rivolge ai presenti nel rispetto dell’Istituzione che rappresenta, lo Stato, la Repubblica. Il decoro dell’Istituzione, che deve essere sempre mantenuto, è il decoro del potere, una forma di rispetto dell’esercizio del potere che non deve essere abuso, e non deve essere mai svilito».
La crisi della politica è una crisi della rappresentanza o della rappresentatività?
«Credo che sia una crisi di rappresentatività, che poi alla fine si è tradotta in una crisi della rappresentanza. La crisi di rappresentatività si è determinata perché il succedersi negli anni di leggi elettorali sempre più terribili e sempre meno condivise, frutto di compromessi mal riusciti, ha inciso, per le persone che venivano elette, sulla capacità di essere effettivamente rappresentative degli elettori. La crisi della rappresentatività a un certo punto si traduce in crisi della rappresentanza. Il problema è la rappresentatività, che è un tema di legge elettorale. La crisi della rappresentanza ha portato a un’eccessiva enfasi sull’importanza degli appelli diretti al popolo, che possono essere veicolo di populismi».
L’Articolo 1 sancisce il diritto al lavoro. Nel divario Nord-Sud, accentuato dalla Riforma del Titolo V, la politica ha “tradito” la Costituzione?
«Sono molto d’accordo e aggiungerei una cosa. Il lavoro è talmente centrale nella Costituzione italiana che è presente nei primi quattro articoli. C’è sempre un riferimento ai lavoratori, alla dignità del lavoro, alla partecipazione dei lavoratori e all’articolo 4 si fa riferimento al diritto al lavoro. La Costituzione vuole far passare il concetto che il lavoro è veicolo di dignità, ed è importante anche come strumento di partecipazione politica. Il lavoratore, in quanto tale e contributore effettivo al benessere economico, sociale e morale della collettività, deve essere ascoltato, il suo voto è importante. Nella Costituzione è lavoratore anche chi opera a casa e contribuisce, con il suo fare, al benessere, che è anche morale, di una collettività. Riguardo al lavoro al Sud, non è stato fatto quasi nulla. Se si guardano oggi i partiti politici, sembra che la questione meridionale sia un problema che non gli appartenga. Senza dubbio l’accelerazione in direzione federalista del Titolo V nel 2001 è stata un’accelerazione che ha dimenticato in buona parte le difficoltà e le ragioni del Sud, non in modo strumentale e neppure perché quello strumentario di per sé non sia adeguato, ma perché non c’erano le condizioni economiche perché le regioni del Sud si avvalessero di quello strumentario. Prova ne è che in seguito la riforma, con alcuni interventi della Corte Costituzionale, ha richiesto un grande movimento di ri-centralizzazione».
Il Recovery Fund servirà a colmare il gap Nord- Sud?
«Credo che l’impegno europeo del Recovery Fund potrebbe essere un’occasione per il Mezzogiorno. Tuttavia, da persona che vi è nata, penso che le classi politiche e gli elettori del Sud debbano avere coscienza dell’esistenza di una questione meridionale che non è stata mai veramente a cuore di nessun partito politico, per la grande deresponsabilizzazione della classe dirigente e degli stessi elettori, che a volte hanno sottovalutato il peso del loro voto: alcune regioni del Sud sono grandi e hanno un forte peso politico».
Il consiglio che dà ai giovani?
«Essere consapevoli dei loro diritti, che derivano dalla combinazione della nostra Costituzione con il diritto dell’Unione europea; capire che la produzione di occasioni di lavoro non dipende dalla bontà d’animo di un politico, ma dalla costruzione di istituzioni e di una cultura sociale e politica forte e stabile. Il primo strumento che hanno i giovani è il voto, che deve essere un voto consapevole, non nell’obiettivo dell’ottenimento della promessa elettorale, che è sempre poco credibile».
La più grande occasione che i giovani hanno oggi, nella sfida della cittadinanza sociale?
«Penso che sia l’Europa, intesa non come qualcosa di diverso dall’Italia, ma come una patria allargata, perché l’Italia è anche Europa. L’Europa è un’occasione perché il mondo diventerà sempre più globalizzato, più complesso ed è un movimento storico che non si può fermare».
Arriveremo a una Costituzione dell’Unione degli Stati europei?
«Non mi sembra che i tempi siano maturi per questo, tuttavia spero molto che riusciremo a superare questa resistenza, costruendo una cultura dei diritti, dei popoli, una cultura europea che cresca nel dibattito pubblico, in cui devono essere in prima fila le generazioni che costruiranno l’Europa. Quelle che oggi hanno vent’anni».
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