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Maria Elena Boschi

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NONOSTANTE il Governo fosse impegnato in questioni più spinose (come ad esempio quella del Mes), qualche giorno fa si è molto discusso di quanto accaduto durante una puntata di Otto e mezzo, dove la conduttrice Lilli Gruber ha avuto un aspro botta e risposta con Maria Elena Boschi. La deputata di Italia viva è stata infatti incalzata dalla Gruber per via di un servizio del settimanale Chi, che ritraeva la Boschi in compagnia del suo compagno e senza mascherina. L’intervistata si è scusata, precisando l’accaduto e giustificandolo come un malinteso. Una discussione di pochi minuti, che tuttavia ha generato un’accesa polemica soprattutto sui social, sui quali ci si domandava se la scelta di distogliere l’attenzione dall’attualità politica non fosse piuttosto un modo di delegittimare il ruolo della Boschi.

Volendo analizzare la questione, in realtà la domanda della Gruber poteva essere considerata lecita; essere un personaggio pubblico e soprattutto politico dovrebbe comportare una serie di responsabilità anche sociali e, se dare il buon esempio è discrezionale, il mancato rispetto delle regole viene notato maggiormente quando si tratta di una figura in vista. Che una condotta criticabile divenga oggetto di dibattito è dunque opportuno, quello che semmai appare deprecabile è la modalità con cui questo accade. Spesso questioni di interesse pubblico vengono snaturate e rese accattivanti da un punto di vista comunicativo, ed usare domande in modo pretestuoso col solo scopo di mettere in difficoltà l’intervistato – in questo caso la Boschi  – sembra essere un modo di fare giornalismo decisamente contestabile.

Se una figura politica è nel mirino di un settimanale di gossip, in un contesto meno voyeuristico quale una trasmissione giornalistica, forse, i temi da trattare potrebbero essere altri. Considerando come ultimamente viene fatta informazione nel nostro Paese, vi è anche il sospetto che quando un partito “disturba” la maggioranza di Governo spesso i media sfruttino  le antipatie dell’opinione pubblica per fare audience o, ancor peggio, marginalizzare i diretti interessati. Comunque, nel caso specifico, indubbiamente i soldi del Recovery Fund sarebbero stati un argomento più interessante delle foto private della Boschi; nonostante la domanda fosse scomoda, seppur perfettamente lecita,  la risposta della deputata è stata adeguata. Quello che però appare insensato è l’atteggiamento di chi si è schierato in sua difesa facendo appello alla “solidarietà femminile”. 

Sembra che, adesso che la stampa comincia ad interessarsi maggiormente alle questioni di genere, spesso queste vengano utilizzata  come pretesto per difendersi da critiche che tuttavia ne prescindono; ultimamente accade sempre più frequentemente che figure politiche si difendano da attacchi e domande scomode, sottolineandone il legame col proprio sesso, anche quando non è così. La capziosità delle domande della Gruber appariva fuori luogo – semmai – per la scelta di sacrificare l’approfondimento politico a vantaggio dello scandalo, non piuttosto per una mancanza di accondiscendenza verso un’altra donna. Contestabile è l’operato giornalistico, non il presunto sessismo della conduttrice. La dubbia intervista della Gruber non era neppure sullo stesso piano di Chi, che titolava il servizio fotografico in questione “la gatta sexy con gli stivali”. Forse, semmai, la giornalista avrebbe potuto evitare di dare adito un articolo tanto irrispettoso, ma che abbia scelto strumentalmente di soffermarsi sulle mancanze della Boschi non è stato certamente un modo per screditarla giacché donna.Tuttalpiù perché, se la circostanza appare nettamente pretestuosa, l’atto in sè, durante una fase così delicata a livello sociosanitario, è invece perfettamente contestabile.  Ed è vero che le donne in politica devono, più che gli uomini, riuscire a dimostrare di avere delle opinioni fondate e non è un luogo comune che i pregiudizi legati al genere siano loro d’ostacolo alla partenza. Tuttavia, utilizzare istanze femministe o luoghi comuni quali la “solidarietà femminile” per giustificare le mancanze del proprio operato politico o condotta, non solo non sembra intellettualmente onesto, ma sufficientemente grottesco.

Più che giusto è rivendicare di essere trattate alla pari, ma questo significa anche avere le stesse responsabilità e dover rispondere le stesse domande. In molti, soprattutto citando i casi di Travaglio e Arcuri (anche loro criticati per il mancato uso della mascherina), hanno invitato la Gruber ad essere ugualmente severa con questi ultimi. Il punto è proprio questo, essere imparziali nel criticare una scorrettezza, non piuttosto ignorarla qualora a commetterla sia una donna. La Boschi, già la scorsa estate al centro di polemiche in seguito ad una foto che aveva postato durante una gita in barca, aveva chiesto legittimamente di essere valutata per il suo operato, ed è alla sua condotta che ha risposto durante la trasmissione. Meno coerente se non proprio scorretto è appellarsi al genere e ad un presunto e imprescindibile supporto cieco fra donne. A questo si aggiunge poi che la stessa Gruber è stata oggetto di critiche a sfondo sessista da parte di alcuni che sui social hanno preso le difese della Boschi (“è invidiosa della Boschi perché è giovane e bella”). Insomma, anche molte considerazioni di chi alla solidarietà femminile vi si appella, andrebbero forse disincentivate.


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Alessandro Chiappetta

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