Soldati russi in Ucraina
4 minuti per la letturaUNO degli effetti collaterali più importanti del conflitto tra Israele e Hamas è che per il momento ha fatto cadere nel dimenticatoio la guerra in Ucraina contro l’invasione russa. La cosa fa ovviamente molto piacere a Vladimir Putin che può continuare, indisturbato, a bombardare obiettivi civili e arginare la lunga e incerta controffensiva di Kiev. Il mondo, i media soprattutto e di conseguenza l’opinione pubblica, sono sintonizzati sul Medio Oriente, sul sanguinoso braccio di ferro tra lo Stato d’Israele e i terroristi di Hamas, sulla nuova tragedia, anche umanitaria, che colpisce il popolo palestinese e sul rischio di un allargamento regionale del conflitto.
Il concetto di regionale applicato al Medio Oriente implica il coinvolgimento più o meno diretto delle superpotenze, chi a sostegno di Hamas, chi a sostegno d’Israele. Della causa ucraina, il cui esito sarà decisivo per il futuro dell’Unione europea, della sua stabilità e della sua stessa esistenza, interessa molto meno, anzi poco, in questa fase. Ed è una fase pericolosa perché sia in Europa sia negli Stati Uniti si avvertono segnali di stanchezza nei confronti del sostegno all’Ucraina nella sia guerra, soprattutto militare. Segnali di stanchezza che non provengono soltanto dalle opinioni pubbliche, scarsamente mobilitate contro l’invasione russa dell’Ucraina, ma dalle leadership politiche dell’Occidente.
Il Congresso americano, già in modalità da campagna elettorale, rischia seriamente di non approvare il nuovo pacchetto di aiuti militari da 60 miliardi richiesto dal presidente Joe Biden. In Europa, l’inquilino sempre più scomodo del consesso a 27, il premier ungherese Viktor Orban continua a minacciare il veto a qualsiasi decisione in merito, che come tutte le decisioni di politica internazionale richiedono l’unanimità. Dalla stessa Germania giungono, come sempre, segnali contrastanti. L’altro giorno al Bundestag il cancelliere Olaf Scholz ha detto che l’aiuto militare di Berlino all’Ucraina in guerra è una questione esistenziale per il governo tedesco e che continuerà fino a quando sarà necessario. Ma è proprio questa terminologia, in voga fin dall’inizio dell’invasione russa, che in inglese suona come “as long as it takes”, che si nascondo ambiguità e tentennamenti.
Mentre Scholz rendeva la sua testimonianza in Parlamento nei giorni scorsi, il quotidiano popolare Bild riportava indiscrezioni su un piano degli Stati Uniti e della Germania per congelare al più presto il conflitto in Ucraina e preparare la strada a un accordo ribattezzato Minsk 3, in memoria di quelli che arginarono precariamente il conflitto innescato nel 2014. Alla luce di queste rivelazioni sembra che l’obiettivo dei nuovi aiuti militari dell’Occidente, se e quando arriveranno, sia quello di permettere a Kiev di arginare la Russia, ma non di provocare una sua sconfitta o umiliazione. Il vuoto, le incertezze e i tentennamenti vengono prontamente riempiti dall’offensiva russa e dalla sua propaganda, che da quando è riesploso il conflitto mediorientale, soffia sul fuoco delle divisioni occidentali tra sostegno a Israele e comprensione della causa palestinese. Quest’ultima nulla o poco ha a che vedere con la brutalità di Hamas, ennesimo proxy dell’Iran degli ayatollah e i cui leader in ottobre, poco dopo il massacro compiuto in Israele, sono stati ricevuti al Cremlino.
Secondo quanto riferisce Politico.eu citando i dati dell’Alleanza per la sicurezza della democrazia, nelle sette settimane successive all’incursione di Hamas di Israele, i profili social di Facebook legati direttamente o indirettamente alla propaganda russa, hanno pubblicato 44mila post rispetto ai 14mila delle sette settimane precedenti all’inizio delle ostilità in Medio Oriente. Questi post avrebbero generato a loro volta 400mila condivisioni: una goccia nel mare, certo, ma che segnale un incremento del 400% rispetto al periodo pre-conflitto. Per profili FB legati alla propaganda, si intendono sia quelli dei media messi al bando dall’Europa, come Russia Today o Sputnik, ma che continuano ad essere seguitissimi in Africa o America Latina, sia quelli relativi a funzionari diplomatici delle varie ambasciate. “Hamas” e “Medio Oriente”, le parole chiave più condivise. Tra le fake news alimentate da questa corrente, il fatto che Hamas stia utilizzando armi della Nato contro Israele e che lo stesso gruppo terroristico sia stato allenato militarmente da soldati del Regno Unito. Il risultato è perfetto per Putin. E se i suoi sogni di conquista sono stati drasticamente ridimensionati dalla realtà sul campo, la sua abilità di manipolazione e destabilizzazione nei confronti dell’Occidente resta intatta.
Qui la cultura politica nei confronti della causa palestinese è radicata da decenni e da decenni alimenta non solo la difesa dei diritti dei più deboli, ma anche, spesso, derive verso l’antisemitismo, anche quando Israele è vittima di attacchi e incursioni terroristiche, come quella del 7 ottobre. Nei confronti dell’Ucraina, l’empatia dell’Europa è a macchia di leopardo e a comprendere la portata della guerra combattuta da Kiev sono essenzialmente i Paesi che hanno avuto esperienza diretta dell’occupazione sovietica e oggi si sentono nuovamente minacciati del neoimperialismo della Russia di Putin. Parliamo dell’Europa centro-orientale, delle Repubbliche Baltiche, e le cui posizioni di fermezza nei confronti di Mosca sono spesso percepite con fastidio, ma soprattutto con ignoranza rispetto alla loro storia, recente e meno recente. Come se non facessero parte dell’Europa ritrovata dopo il 1989.
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