X
<
>

Profughi in fuga dalla guerra

Share
5 minuti per la lettura

FINITE la guerra restano i campi profughi: secondo l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, gli attacchi israeliani nella striscia di Gaza hanno già provocato 1,6 milioni di sfollati. Tra loro moltissimi bambini e bambine, per i quali questo lunedì 20 novembre, che da oltre trent’anni celebra i diritti dell’infanzia, rischia di suonare come una vera e propria beffa.

Su circa 82 milioni di rifugiati nel mondo, l’Unhcr, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, calcola che il numero dei minori sia intorno ai 34 milioni. Il triplo degli abitanti del Belgio o della Grecia o della Svezia. Molti dei profughi, in fuga dal nord di Gaza per la guerra, hanno trovato rifugio a sud della striscia nel campo di Khan Yunis, in condizioni estremamente precarie, tra fango, acqua e paura. Sono otto i campi profughi esistenti nella sola Gaza e non vengono risparmiati dal fuoco israeliano, come accaduto a Jabalia, 116 mila rifugiati registrati, dove i bombardamenti hanno provocato decine di morti. Difficile affermare che fossero tutti terroristi di Hamas, anche se l’organizzazione ha dimostrato di non avere alcuno scrupolo nell’utilizzare i civili come scudo. Funzionari delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno sostenuto che operazioni come questa potrebbero costituire un crimine di guerra. Per l’Unrwa sono 620.331 i rifugiati palestinesi registrati tra tutti gli otto campi.

Anche quello di Al-Shati è stato colpito da attacchi aerei, così come quelli di Bureij, Maghazi e Nuseirat. Tra Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e Striscia di Gaza esistono 68 campi profughi, 58 ufficiali e 10 non ufficiali, per accogliere i rifugiati palestinesi. Dieci campi per profughi furono installati dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, mentre gli altri furono istituiti tra il 1948 e gli anni ’50 per accogliere quanti fuggirono o furono espulsi in seguito alla prima guerra arabo-israeliana del 1948.

E’ difficile per un occidentale, al caldo e al sicuro nella propria casetta, immaginare la vita in strutture che dovrebbero essere temporanee e spesso diventano permanenti come i campi profughi, nati per ospitare le persone costrette a fuggire dalle proprie case a causa di violenze, guerra o persecuzioni. Le situazioni di emergenza ormai si protraggono senza fine e portano le persone a vivere nei campi per anni e decenni se non per tutta la vita, in condizioni di vita precarie e senza speranza in un futuro migliore, sopravvivendo solo grazie agli aiuti umanitari internazionali. Lì si nasce e lì si muore, tra una guerra e l’altra. Sono terreni perfetti in cui coltivare odio e violenza, luoghi di reclutamento per le guerre “sante”, in cui la vita terrena è talmente dura e senza speranza da rendere appetibili le ideologie basate sul sacrificio umano che consentirà una vita di gran lunga migliore nell’aldilà. Secondo i dati dell’Unhcr circa il 22% della popolazione mondiale di rifugiati vive in campi profughi, almeno 6,6 milioni di persone. Tra questi, 4,5 milioni risiedono in campi pianificati e gestiti e circa 2 milioni sono accolti in campi auto-allestiti. Con circa 15,6 milioni di sfollati forzati e apolidi, le regioni del Medio Oriente e del Nord Africa nel 2023 rappresentano il 24% dell’intero bilancio dell’organizzazione dell’Onu. La maggior parte dei fondi sono destinati ai bisogni di base, all’assistenza in denaro e all’alloggio. I terremoti in Turchia e in Siria hanno colpito gravemente entrambi i paesi e un numero record di 15,3 milioni di siriani, tra cui 6,8 milioni di sfollati interni in Siria, che necessitano urgentemente di assistenza umanitaria e protezione. Inoltre, il conflitto in Sudan ha provocato un notevole afflusso di migranti verso l’Egitto, mettendo ulteriormente a dura prova le risorse e le infrastrutture del Paese. Nel Libano poi, dove la guerra civile tra il 1975 e il ‘91 portò alla partenza di circa un quarto della popolazione, oggi in preda a una crisi economica di proporzioni catastrofiche, il 90% dei rifugiati siriani si ritrova a vivere in condizioni di estrema povertà. Lo Yemen rimane invece una delle peggiori crisi umanitarie in corso a livello globale: dopo più di otto anni di conflitto oltre 21 milioni di persone, i due terzi della popolazione, necessitano di assistenza umanitaria, tra cui 4,5 milioni di sfollati interni. Stati come la Giordania e il Libano, già scarsamente attrezzati per fornire cibo e servizi ai loro cittadini, ora devono far fronte alle richieste di milioni di stranieri. Le popolazioni rifugiate in queste due nazioni, siriani, iracheni e palestinesi, costituiscono ormai più di un quarto della popolazione totale e la maggior parte non è ospitata all’interno di campi profughi geograficamente distinti. Un rimescolamento che muterà inevitabilmente gli equilibri politici della regione, innescando conflitti sociali dall’esito incerto. Alcuni tra i più grandi insediamenti di rifugiati nel mondo si trovano nella regione orientale del Sahel in Africa. Il complesso di Dadaab in Kenya, ospita 223 mila sfollati ma in passato era arrivato a 450 mila. Nell’Uganda nord-occidentale troviamo il campo profughi di Bidi Bidi, che ospita 270 mila rifugiati sudsudanesi, in fuga dalla guerra civile. Il campo profughi di Kutupalong in Bangladesh nel 2018 è al momento ritenuto il più grande al mondo con i suoi 600 mila rifugiati, due volte gli abitanti di Firenze o l’equivalente della popolazione di Genova. A Tindouf, nel sud dell’Algeria ci sono i campi dei rifugiati saharawi, la seconda più vecchia installazione d’emergenza della storia dopo quelle palestinesi. Sono nati nel 1975 per ospitare temporaneamente la popolazione saharawi fuggita dai territori del Sahara Occidentale, ancora oggi contesi, dopo l’annessione da parte del Marocco. L’Algeria consente che siano totalmente autogestiti dalle istituzioni della Repubblica Araba Democratica Saharawi. Sono solo una piccola parte dei campi profughi nel mondo, l’elenco è lunghissimo e non risparmia nessuna parte del pianeta, Europa e Italia comprese, basti pensare alle centinaia di migliaia di ucraini costretti a lasciare il loro Paese dopo l’invasione russa di un anno e mezzo fa. E’ poi difficile, ad esempio, non ritenere i cosiddetti centri di accoglienza destinati ai migranti nei punti di maggior accesso, come Grecia e Italia, l’equivalente di campi profughi seppure con mura al posto delle tende. Ritsona, Kara Tepe, Moria nella penisola ellenica, le cui condizioni sono state denunciate più volte da Medici Senza Frontiere. Per non parlare dell’hub di Lampedusa sempre sul punto di scoppiare. Niente è più permanente del temporaneo, sembra voler il lungo elenco di campi profughi esistenti. Milioni di persone per cui la vita perde di significato, giornate trascorse nella speranza di un pasto caldo e poco altro, che li trasformano in luoghi dove fermentano rabbia e odio che producono altri conflitti. Rendendo quanto mai attuali i versi del poeta Sandro Penna: “Le porte, le porte del mondo son chiuse: serrate alla pioggia, serrate alla luce”.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE