Carri armati di Israele avanzano
4 minuti per la letturaNEL MOMENTO in cui si spegne l’alimentazione elettrica, non è solo il buio a far paura ma tutto quello che c’è dietro. Incluso l’ignoto futuro della propria terra. Gaza è piombata nell’oscurità letterale, dopo aver vissuto sulla sua pelle, per anni, quella sociale, perché l’attacco violento e improvviso di Hamas contro Israele ha avuto l’effetto atteso: quello di produrre, di riflesso, l’agonia della popolazione palestinese, bersagliata dalle munizioni di un esercito decisamente più preparato, a livello logistico e tattico, delle milizie delle Brigate Ezzedin al-Qassam o delle altre cellule che fanno capo al Movimento islamico di resistenza. E, tenendo presente il pesante coinvolgimento della popolazione civile nell’ambito dell’offensiva di Hamas, i presupposti per una futura crisi umanitaria erano ben visibili già nell’immediato, quando la sorpresa di un’operazione condotta con tale efferatezza avrebbe potuto distogliere lo sguardo dal vicino futuro.
Ma, pur in un quadro che coinvolge direttamente anche i civili israeliani, la cintura posta attorno alla Striscia di Gaza rischia di creare a strettissimo giro un’emergenza su scala regionale fra le peggiori del Vicino Oriente. La cessazione dell’alimentazione alla centrale elettrica che garantiva l’energia a Gaza, dovuta all’esaurimento delle scorte di carburante, ha lanciato un macigno sulla popolazione, ora di fatto priva di qualsiasi risorsa energetica. Sia per lo stato di assedio che per la posizione ambivalente dei Paesi che, fin qui, hanno garantito ai palestinesi un sostegno sia economico che progettuale.
Il problema non è solo la delicatezza del contesto geopolitico. Come ricordato nelle scorse ore dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, le vie di comunicazione da e per Gaza sono ostruite dalla pesante militarizzazione dell’area, già dalle ore immediatamente successive all’offensiva lampo contro Israele di Hamas. Col risultato che, in poche ore, il conto delle vittime dei raid di rappresaglia ha raggiunto quello provocato dalla feroce avanzata delle milizie (circa 1.200 al momento) del 7 ottobre, con un numero di sfollati che cresce in proporzione alle porzioni di territorio distrutte: 300 mila quelli già certi. Con l’ulteriore aggravante, per coloro che hanno subito le conseguenze degli attacchi aerei, di un accesso pressoché nullo a beni essenziali, quali cibo, acqua e forniture mediche. Lo stesso governo israeliano ha confermato la precarietà dell’alimentazione energetica dei (pochi) luoghi di cura della Striscia.
Come riferito in una nota da Azione contro la Fame, anche il lavoro degli operatori è seriamente minacciato: «Il blocco in vigore impedisce l’arrivo di acqua, cibo e carburante, complicando ulteriormente la situazione per famiglie, bambine e bambini». Nelle scorse ore, l’Onu aveva fatto appello affinché potessero essere aperti corridoi umanitari per la Striscia e nei territori occupati in Cisgiordania, al momento lontani dai riflettori. Una condizione essenziale anche per consentire l’evacuazione della popolazione civile prima che il bilancio dei morti si aggravi ulteriormente. Anche l’agenzia delle Nazioni Unite World Food Programme ha accelerato sull’emergenza, imbastendo un’operazione immediata per un’assistenza diretta a più di 800 mila persone tra Gaza e Cisgiordania, chiedendo anch’essa l’istituzione di corridoi umanitari, affinché il personale possa passare l’anello degli assedianti senza pericoli. Nei giorni scorsi, l’Onu stessa aveva fatto sapere dell’uccisione di alcuni membri dello staff nell’ambito dei bombardamenti su Gaza, ritenendo inoltre contrario al diritto internazionale lo stato di assedio totale. Il Wfp, da parte sua, ha stilato un primo bilancio delle risorse economiche necessarie per l’allestimento di un’operazione di emergenza, quantificando in 17,3 milioni di dollari il fabbisogno da qui a quattro settimane. Nella sola giornata di lunedì 9 settembre, il Wfp ha distribuito cibo a 73 mila persone, in un contesto urbano che esaurisce a marcia forzata le scorte di cibo disponibili.
L’obiettivo, da qui ai prossimi giorni, è di offrire un sostegno alimentare diretto (e anche medico, per quel che riguarda altri enti) a 300 mila persone. Tutto, però, dipenderà dagli sviluppi del conflitto, non solo dai corridoi umanitari. Anche perché proprio a Gaza sono focalizzati i target militari di Israele, in un crescendo di intensità bellica che non consente agli stessi corridoi umanitari di essere del tutto al riparo dalle derive della guerra voluta da Hamas. Del resto, la Striscia di Gaza è uno dei territori con la più alta densità abitativa, da quasi 2 milioni di abitanti in circa 360 chilometri quadri di superficie, in grandissima parte rifugiati palestinesi. Una fetta di territorio che, dall’alto, può apparire identica. Rendendo difficile, nell’ambito di un attacco – e ancor di più di un’offensiva terrestre – distinguere tra obiettivi militari e civili. Quella stessa distinzione che Hamas ha deliberatamente ignorato.
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