La fila a Mosca all’Ikea prima che chiudesse
4 minuti per la letturaL’ULTIMO colpo è arrivato dal mondo del gaming: via Microsoft, Sony, Electronic arts, Bungie, Epic games e altri ancora. Tradotto: stop alle vendite in Russia di Xbox, Play station e dei principali titoli di videogame (da Fifa 2022 in giù). Così i giovani delle Federazione pagano il prezzo della campagna militare in Ucraina, e salutano virtualmente quell’Occidente demonizzato da Vladimir Putin, ma del quale loro – i ragazzi – si sentivano pienamente parte. Vale per la possibilità di seguire la propria squadra di calcio in Champions, in Europa o in Conference League e per la libertà di acquistare maglie griffate Nike o Adidas del Real Madrid, del Bayern Monaco o del Manchester Utd, sfoggiando il nome di Luka Modric, Robert Lewandoski o Cristiano Ronaldo.
Tutto finito, con la chiusura temporanea degli store ufficiali dei principali marchi sportivi internazionali. E si tratta solo di una parte della grande fuga delle multinazionali occidentali dalla Russia, come effetto delle sanzioni e in omaggio alla brand reputation, ormai sempre più decisiva nelle prospettive commerciali delle aziende. Nessuno, insomma, vuole associare il proprio nome al Paese che ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa, anche se questo significa perdere introiti e riportarne la popolazione indietro di oltre trent’anni. Ai tempi della Cortina di ferro. La quale sembrò cadere, più che a Berlino, il 31 gennaio 1990, con l’interminabile fila per un Big Mac davanti al primo Mc Donald’s di Mosca. L’avessero saputo prima Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler che per prendersi la Russia non servivano bombe ma panini… Da lì la globalizzazione nel Paese si è espansa, con grande plauso dei suoi cittadini, ormai parte del mercato mondiale.
Fino al 24 febbraio di quest’anno, giorno dell’aggressione all’Ucraina, che ha innescato il processo di isolamento economico (e sociale) della Russia. Dove, per il momento, ha deciso di non operare più Ikea, che tanto ha fatto, negli anni, per costruire l’immagine di un’azienda liberale, ecologica e promotrice dei diritti di ogni genere, nel solco della tradizione progressista svedese. «La guerra ha un enorme impatto umano e si traduce in gravi problemi della catena di produzione e distribuzione, ragione per cui le società del gruppo hanno deciso di sospendere temporaneamente le attività di Ikea in Russia». Decisione che, se si considera lo stop alle attività anche in Bielorussia, colpisce 15mila dipendenti, diciassette magazzini e tre siti produttivi.
Ci è andata giù ancor più duro Apple, simbolo stesso della globalizzazione tecnologica che non solo ha fermato le vendite nelle Federazione ma ha anche disabilitato il funzionamento di servizi come Apple maps e Apple pay e ha rimosso le applicazioni di Rt e di Sputnik news – media statali russi – dagli App store nei Paesi fuori dalla Russia. Il gigante sudcoreano Samsung ha, invece, fermato l’export di smartphone, chip e tv verso la Federazione.
Nel campo della moda troviamo la mossa di H&M che ha congelato l’attività dei suoi store, rinunciando al sesto mercato per importanza a livello planetario. Il colosso del fast fashion si è detto «preoccupato per i tragici sviluppi in Ucraina» e ha espresso «vicinanza a tutte le persone che stanno soffrendo».
L’industria automobilistica non è stata da meno: Volkswagen, Mercedes, Bmw e Ford hanno fermato le rispettive catene di produzione in Russia. Lo stesso hanno fatto alcuni marchi orientali, soprattutto giapponesi. Toyota ha sospeso l’attività dello stabilimento di San Pietroburgo, avviato nel 2007 e dove annualmente vengono assemblati circa 100mila veicoli, tra cui il modello Rav4 e la berlina Camry, con una forza lavoro di 2mila persone.
Nella stessa direzione si è mossa Honda, che ha interrotto l’invio delle proprie auto in Russia. Mazda (30mila vetture vendute in Russia nel 2021) ha seguito la stessa strada, annunciando anche lo stop alle forniture di ricambi a una società di Vladivostok. I russi dovranno fare a meno anche dei mattoncini Lego, dell’uso dei principali social network, dei film e delle serie tv di maggior successo prodotti dalle major hollywoodiane, dei servizi di spedizione Dhl e Amazon e così via.
Si torna, sostanzialmente, ai tempi dell’Urss, con una sostanziale differenza. In quegli anni i giovani russi non conoscevano il mondo lontano dai loro confini, ora – semplicemente – ne vengono tagliati fuori, dopo esservi nati e cresciuti, godendo appieno delle sue potenzialità e opportunità.
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