Xi Jinping con Vladimir Putin
3 minuti per la letturaMOLTE illustri personalità si sono proposte o lo sono state dai loro fan come mediatori per negoziare la fine del conflitto in Ucraina. Non c’è dubbio che tutti l’abbiano fatto con le migliori intenzioni. Ma di queste ultime, come recita un detto popolare, è “sempre lastricata la via dell’inferno”.
Un accordo fra Mosca e Kiev è difficilissimo, se non del tutto impossibile, finché ad entrambe le parti in campo rimane una minima speranza di vittoria. Forse per Zelensky sarebbe possibile cedere qualcosa. Una scusa – solitamente quella di risparmiare al suo “eroico” popolo distruzioni e morti – la può sempre trovare. Invece, per Putin è impossibile rinunciare anche marginalmente a qualcuno dei suoi “irrinunciabili” obiettivi. Lo ha detto e ripetuto a tutti. La storia gli dà ragione. Per un autocrate non è possibile perdere una guerra, salvando il suo potere. Se gli va male – come spesso avviene – ci lascia anche la pelle. La storia insegna anche che, quando è indebolito e teme di perdere, un autocrate diventa disperato. Potrebbe prendere decisioni irrazionali, da “Muoia Sansone con tutti i filistei”. Nel regime di Putin non esistono “checks and balances” che possano istituzionalmente bloccare qualche “mattana” del presidente. Lo possono fare solo i militari. Non per nulla, su sollecitazione dei loro colleghi americani, sono corsi ai ripari.
Ha fatto scuola l’esempio del Capo degli Stati Maggiori Congiunti USA, gen. Milley, che negli ultimi convulsi giorni della presidenza Trump, che agitava il fantasma di una guerra nucleare con la Cina, aveva comunicato ai vertici militari cinesi di non preoccuparsi. Non avrebbe mai autorizzato il lancio di missili, anche se il “Comandante in Capo” ne avesse impartito l’ordine.
Americani e russi hanno attivato una linea diretta – che duplica il “telefono rosso” fra il Cremlino e la Casa Bianca – che si chiama “de-conflicting line”. Essa è prevista dagli accordi New START sulle armi nucleari strategiche, per evitare lo scoppio di guerre per errore. Sarà per spirito di corporazione o perché penso di conoscerne la mentalità, ma mi fido più dei militari/ che dei politici e diplomatici russi. Per inciso, vedrei volentieri Lavrov in un’aula di tribunale, come lo fu von Ribbentrop.
Come evitare il pericolo di “mattane”? La mediazione deve essere rapida e incisiva, nel senso che il mediatore deve essere in grado di esercitare su Putin una pressione a cui non possa sottrarsi. L’unico in grado di farlo è Xi Jinping. Tutti gli altri – da Macron a Scholz, da Bennet a Erdogan, per finire al Santo Padre – tirerebbero i negoziati troppo per le lunghe.
Ma perché la Cina dovrebbe assumere l’onere e i rischi – oltre che l’onore e il grande prestigio che ricaverebbe dal sicuro successo – di una mediazione? Non è la Cina alleata della Russia nella Lega delle autocrazie, contro quella delle democrazie? A mio avviso, la Cina ha ottime ragion di accettare tale ruolo. Primo: perché ha tutto l’interesse di continuare a trarre vantaggi dalla globalizzazione e dall’esistenza di un ordine mondiale basato su regole, che Putin sta distruggendo. Secondo, perché la Cina – che ha, almeno per ora, sostenuto le sanzioni, vietando l’apertura di crediti in dollari alle banche russe – è terrorizzata dei danni che avrebbe qualora gli USA adottassero sanzioni “secondarie” nei confronti delle banche e delle imprese che non rispettassero le decisioni sanzionatorie e gli embarghi tecnologici statunitensi.
Per ora Xi Jinping, seppur furioso con Putin per il fallimento del suo blitzkrieg in Ucraina, non ha ancora deciso se fare il mediatore, cioè se premere su Putin perché diventi flessibile e si renda disponibile a un serio negoziato. Segno che lo farà fra breve sono i calorosi ringraziamenti inviati a Zelensky per aver aiutato l’Ambasciata cinese a Kiev ad evacuare dall’Ucraina i 6.000 cinesi che vi erano presenti all’inizio del conflitto.
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