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Il 24 febbraio 2022 è uno spartiacque: il mondo moderno così come lo conoscevamo è cambiato. La feroce e inaspettata aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina ha causato una grave crisi umanitaria, riportando la guerra nel cuore dell’Europa dopo oltre settant’anni di pace, con un conflitto le cui onde d’urto si sono propagate attraverso i mercati energetici mondiali.

Una prima e immediata conseguenza dell’invasione è stato lo sprofondamento nella prima crisi energetica su scala mondiale. Il mondo non si era mai trovato ad affrontare una crisi energetica di tale profondità e portata. Nessun paragone è infatti possibile fare con la crisi energetica degli anni Settanta del Novecento, anche se a provocarla è stata anche in quel caso una guerra. Nell’autunno del 1973 la guerra dello Yom Kippur rivelò i limiti della crescita economica occidentale basata sull’abbondanza e i bassi prezzi del petrolio, i cui derivati rappresentavano quasi la metà dell’energia primaria utilizzata a livello mondiale. Quella crisi mise fine alla poderosa crescita economica seguita alla fine della Seconda guerra mondiale. Portò alla penuria e ai razionamenti e in Occidente si parlò di austerità. Ma ora le cose stanno diversamente.

Per diversi anni il principale protagonista della guerra, la Russia, ha svolto il ruolo di maggiore esportatore mondiale di energia, con una leadership globale nel campo delle esportazioni di petrolio e di gas. Contemporaneamente, contribuiva ai mercati internazionali delle materie prime con la fornitura di carbone e di diversi minerali.

Questa crisi è scoppiata in presenza di livelli di inflazione che in molte economie avevano già raggiunto il picco massimo degli ultimi 40 anni. All’inizio del 2022, prima dell’inizio del conflitto, l’inflazione negli Stati Uniti aveva raggiunto il 7,9%, il tasso più alto dal 1982, mentre nell’Eurozona superava il 5%, il livello massimo mai raggiunto dall’inizio delle serie storiche nel 1997. A dicembre 2022 questi tassi erano ancora più alti.

L’economia mondiale risente di un livello mai visto prima di indebitamento globale, sia in termini assoluti, sia in percentuale del Pil, poiché diversi paesi hanno attuato ampi programmi di aiuti per riprendersi dalla pandemia da Covid-19. Ciò rischia di drenare importanti risorse finanziarie dagli investimenti e dalla capacità di spesa, sia nel settore pubblico, sia in quello privato.

Il mondo attuale è molto più interconnesso di quanto non fosse all’epoca dei precedenti embarghi petroliferi. Rispetto al passato, il commercio globale rappresenta una fetta molto più grande dell’economia mondiale. Infine, l’epicentro del conflitto coinvolge Paesi, come la Russia e l’Ucraina, che sono anche leader mondiali nella produzione e nell’esportazione di derrate alimentari e fertilizzanti, con evidenti implicazioni sui prezzi dei generi alimentari.

Un altro ambito che suscita notevoli preoccupazioni è il sistema industriale europeo e le sue prospettive future. La verità scomoda è che uno dei motivi per cui l’industria europea ha potuto prosperare è stato l’afflusso massiccio e stabile di energia a basso costo proveniente dalla Russia, dalla Seconda guerra mondiale in poi. Il patto che ha cementato l’interdipendenza reciproca tra Est e Ovest è stato consolidato dalla costruzione di importanti infrastrutture di interconnessione, tra cui i gasdotti che collegano i ricchi giacimenti di gas della Siberia occidentale con il cuore dell’Europa. Ironia della sorte, il principale gasdotto che collega la Russia e l’Europa attraverso l’Ucraina è stato chiamato “Brotherhood”, ovverosia “Fratellanza”.

Allo stato attuale, il gas naturale continua a essere una fonte di energia importante per l’industria; per questo motivo, il rischio di carenze e l’impennata dei prezzi dell’energia rappresentano un problema molto spinoso per la competitività dell’industria europea. L’Europa risulta quindi colpita su più livelli: le famiglie, per via delle bollette dell’energia, il settore industriale a causa di prospettive poco rosee e perdita di competitività. Un insegnamento che si può trarre dalle crisi del passato è che, al di là delle difficoltà, della recessione e dell’inflazione, talvolta esse possono anche far emergere elementi di innovazione importanti. Dopo la crisi petrolifera degli anni Settanta, la risposta a livello mondiale è stata il massimo sviluppo dell’energia nucleare della storia e notevoli miglioramenti nell’efficienza di veicoli e apparecchiature.

Una problematica importante che all’epoca era ancora fuori dai radar era il concetto di cambiamento climatico e sostenibilità, che invece oggi è diventato un motore fondamentale sul piano sociale, economico e tecnologico. Già prima del conflitto russo-ucraino, il mondo si stava avvicinando a un punto di svolta nella transizione verso un’energia pulita. Più dell’80% dell’economia mondiale si è impegnata ad andare verso una situazione di neutralità carbonica e diverse nuove tecnologie per l’energia pulita si trovano ormai a un bivio decisivo, quello in cui si diffonderanno su vasta scala o deluderanno le aspettative. Sta di fatto che il 2021 è stato un anno record per tutte le tecnologie pulite più promettenti. Alcuni esempi: record di vendite per i veicoli elettrici e le pompe di calore; l’accumulo in batteria ha raggiunto livelli mai visti prima; entusiasmo e interesse per l’idrogeno e l’interesse per le tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio hanno raggiunto nuovi massimi; le rinnovabili hanno continuato a dominare la nuova capacità elettrica e a raggiungere un record dopo l’altro.

I livelli di investimento nel campo dell’energia pulita raggiungeranno un nuovo record assoluto nel 2022, in considerazione del fatto che i paesi stanno dispiegando ampi programmi di incentivi finalizzati alla ripresa post-pandemia e nuovi piani di risposta alla crisi. Secondo il documento World Energy Investment, gli investimenti energetici globali aumenteranno dell’8% nel 2022 per raggiungere i 2,4 trilioni di dollari, con l’aumento previsto principalmente nell’energia pulita.

L’Inflation Reduction Act statunitense, RepowerEU, il Green transformation programme giapponese e altri ancora sono solo alcuni esempi di piani da diverse centinaia di miliardi di dollari che sono stati recentemente annunciati per favorire lo sviluppo dell’industria del futuro.

Il mondo occidentale non è l’unico contendente di questa competizione mondiale. La Cina è già leader mondiale nella maggior parte delle tecnologie per l’energia pulita: dalla produzione di impianti fotovoltaici per l’energia solare ai veicoli elettrici, dalla produzione di batterie alla lavorazione di quei minerali critici che sono la struttura portante di diverse tecnologie verdi. Questa posizione di leadership non è una coincidenza, bensì il risultato di una strategia costante e coerente adottata dal governo cinese negli ultimi 20 anni.

La crisi attuale rappresenta una svolta storica per il sistema dell’energia e ancor di più per il futuro dell’industria europea. In questo contesto, il vecchio motto “innovare o morire” non è mai stato più pertinente per l’Europa. Il continente ha ottime capacità educative, risorse e un potenziale di innovazione tali da consentirgli di superare la crisi in corso. Inoltre, le istituzioni europee sono state molto unite nella risposta alla crisi e nell’adozione di contromisure per alleggerire l’onere che grava sui cittadini e sulle imprese. È però giunto il momento che l’Europa intraprenda una discussione seria sul futuro della sua architettura economica e sociale, valutando anche quali misure possano essere attuate per coniugare il progetto di transizione verso l’energia pulita con una strategia industriale a lungo termine. Anche perché gli altri Paesi non si fermano.


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Fabio Grandinetti

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