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Nei giorni scorsi sono stati presentati il Rapporto Svimez, giunto alla 49° edizione, e il Rapporto “Italiani nel mondo” promosso dalla Fondazione Migrantes: i dati emersi potrebbero far pensare a un quadro generale poco roseo, ma un’analisi attenta permette di scorgere premesse positive per il Mezzogiorno.

Partiamo con ordine. L’anno che va concludendosi avrebbe dovuto essere caratterizzato dalla ripresa post pandemica e da una crescita sostenuta, ma si è rivelato un anno di frenata a livello internazionale dovuta alla guerra, alla crisi energetica e ai cambiamenti in corsa dell’orientamento delle politiche monetarie internazionali. Le prospettive per il 2023, inoltre, sembrano puntare verso una decelerazione, ma vale la pena esaminare le dinamiche dell’economia italiana.

Dopo lo shock dovuto alla pandemia, il nostro PIL è cresciuto del +6,6% a livello nazionale, sostenuto dalla domanda estera e dalla ripresa degli investimenti. La ripresa ha interessato tutte le aree ed è stata più rapida nel Nord del Paese, ma osservando con attenzione i dati la ripartenza del Sud può considerarsi straordinaria: dopo un calo dell’8% nel 2020, è cresciuto in media del 5,9% nel 2021.

In particolare, la Basilicata è cresciuta del +7,8%, seguita da Sardegna, Puglia e Campania (rispettivamente cresciute del 6,5%, 6,5% e 6,3%); più distanziate, ma egualmente in risalita, troviamo Calabria (+5,5%), Abruzzo (+5,1%), Sicilia (+4,9%) e Molise (+4,2%). Questi numeri sono dovuti soprattutto alla crescita dell’industria e alla ripartenza del settore delle costruzioni, ma risentono comunque delle performance del terziario, meno significative a causa della permanenza di alcune misure di limitazione delle attività economiche e sociali nel corso dell’anno.

Per quanto riguarda invece l’occupazione, il ritorno ai livelli occupazionali pre-pandemia è stato più lento rispetto ad altri Paesi ed è stato completato, a livello nazionale, solo nel secondo trimestre 2022. Nel Mezzogiorno, tuttavia, l’occupazione è tornata ai livelli pre-pandemia prima rispetto al Centro-Nord, con 6 milioni 610mila occupati cioè 46mila in più (+0,8%) rispetto al 2019. In particolare, ad aver ampiamente recuperato i livelli occupazionali sono state Calabria, Campania e Puglia.

Il divario Nord-Sud, quindi, è minacciato dalle previsioni di contrazione del PIL per il 2023, ma va assottigliandosi a favore proprio del Mezzogiorno che dimostra di saper ripartire con forza. Per quanto riguarda invece i dati del Rapporto Migrantes, a lasciare l’Italia sono sempre più i giovani: tra il 2006 e il 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87% e rappresenta – si legge nell’indagine – spesso l’unica scelta da adottare come «risoluzione per tutti i problemi esistenziali».

Il 78,6% di chi ha lasciato l’Italia nel 2016 è andato in Europa, il 14,7% in America e il restante 6,7% è diviso tra Asia, Africa e Oceania. Le regioni che registrano il maggior numero di partenze sono, a sorpresa, quelle del Nord: il 53,7% di chi ha lasciato l’Italia alla volta dell’estero è partito proprio dal Settentrione, il 46,4% dal Centro-Sud. La Lombardia registra un’incidenza del 19% sul totale, seguita dal Veneto (11,7%), dalla Sicilia (9,3%), dall’Emilia-Romagna (8,3%) e dalla Campania (7,1%).

I dati sinora esposti sono necessari per l’avvio di una riflessione nuova, scevra da pregiudizi. La partecipazione del Sud al “rimbalzo” non è un caso e non è dovuta solo alle condizioni favorevoli di stimolo pubblico dovuto a manovre quali gli interventi finanziati dal PNRR e l’Ecobonus 110%. I temi ricorrenti che riguardano il Mezzogiorno, dalla disoccupazione alle carenze strutturali, dalla criminalità alla questione demografica, che hanno portato alla disparità che tutti conosciamo non solo i soli aspetti su cui dobbiamo concentrarci.

La narrazione del Sud quale zavorra del Paese non apparterrà ancora al passato, ma inizia a dimostrarsi superata. Le regioni meridionali, trainate dalle giovani generazioni e da classi dirigenti ambiziose, hanno compreso l’importanza del superamento dell’immagine del Sud tutto immobilismo clientelare e assistenzialismo, che non corrisponde alla realtà e danneggia la crescita, e hanno finalmente imboccato la via dello sviluppo. In questa direzione saranno, perciò, trascinanti il Fondo per lo sviluppo e la coesione, i Fondi strutturali europei e, naturalmente, il PNRR e il Piano nazionale per gli investimenti complementari.

Il cambio di prospettiva è ormai avvenuto e il Mezzogiorno dev’essere finalmente visto e riconosciuto quale centro di una delle aree di maggiore interesse economico. Serviranno pari opportunità generazionali, di genere e territoriali: solo così il Sud, scrollandosi di dosso decenni di difficoltà, diventerà motore trainante di una nuova, solida economia.


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