Produzione di mascherine in Cina
4 minuti per la letturaDalla Cina alla Cina. Andata e ritorno del lungo viaggio di uscita di una pandemia i cui sviluppi continuano a ruotare attorno al colosso asiatico. E questo nonostante – dati alla mano – dopo l’exploit di inizio 2020 l’epicentro dell’emergenza sanitaria globale si sia spostata più a Ovest, fra le due sponde dell’Atlantico.
A Wuhan il Covid ha iniziato a muovere i primi passi e lì, attraverso misure severissime oggi replicate a Xian, ha registrato la prima – importante – frenata. E Pechino, con il suo vantaggio strategico sul resto del pianeta, ha avuto margine per rimettere in piedi l’immensa catena produttiva sino a trasformare l’epidemia in business.
La domanda di dpi vari e strumenti extrafarmacologici utilizzati nella lotta alla malattia, del resto, è elevata e proviene da ogni angolo del mondo. E la Cina ha gli strumenti, la manodopera, le materie e il know how per soddisfarla. Offrendo prodotti a prezzi più bassi persino di quelli realizzati all’interno dei singoli Paesi con tutto ciò che ne consegue in termini di concorrenza.
Recentemente sul South China morning post è uscito un articolo che spiega come gli imprenditori locali si stiano muovendo per rispondere adeguatamente alle richieste di tamponi rapidi in arrivo dall’estero, sfruttando il boom di contagi registrato su scala planetaria a causa della variante Omicron.
«Negli ultimi due mesi – ha raccontato Zhang Shuwen, direttore generale della Liming Bio, con sede a Nanchino – abbiamo assunto più di duecento lavoratori temporanei per tenere il passo della massiccia quantità di ordini provenienti dal Bangladesh e dall’Europa». Ordinativi che, per le aziende cinesi, hanno iniziato a crescere a partire dalla metà del 2021, quando Delta – molto più diffusiva di Alfa – ha preso il sopravvento con una nuova ondata. Tanto che Zhang oggi ha più operai assunti a tempo che personale fisso. A cui si sono aggiunti investimenti in macchine e attrezzature.
«Abbiamo risposto alla domanda aumentando la nostra capacità di produzione, il personale e acquistando mezzi».
E parliamo, secondo quanto affermato dallo stesso Zhang, di un’impresa piccola, non paragonabile ai colossi quotati sulle borse cinesi che stanno seguendo la stessa strada per soddisfare la domanda globale, insieme a quella interna. Zhejiang orient gene biotech – fra i maggiori produttori mondiali di tamponi – in un solo giorno ha assunto oltre 2mila e 500 lavoratori temporanei, per arrivare – secondo un report del Securities time – a circa 15mila, fra operatori notturni e diurni, ovvero dieci volte il numero di personale fisso. Numeri simili per la Hangzhou alltest biotech e la Assure tech, entrambe con sede a Hangzhou, la capitale dello Zhejiang. Il potenziamento produttivo è tale che, sostiene Zhang, oggi la Cina potrebbe tranquillamente fornire tamponi a metà dei Paesi mondiali.
Qualcosa di simile sta avvenendo sul fronte delle mascherine. In Occidente, Italia compresa, con l’esplosione della pandemia è stato necessario adeguare l’industria alle nuove necessità, fra cui quella di dpi.
Oggi esiste una produzione locale che, tuttavia, trova nell’import dalla Cina un serio avversario. Dopo la decisione del governo di calmierare a 0,75 il prezzo delle Ffp2, il presidente di Safety di Assosistema Confindustria, Claudio Galbiati, ha avvertito: «Seppur condivisibile l’intento di intervenire sul prezzo ed evitare la speculazione non condividiamo, l’estromissione dalla discussione proprio dei produttori delle Ffp2. Continuando così, le aziende porteranno nuovamente la produzione fuori del territorio italiano e ci ritroveremo nuovamente sprovvisti di facciali filtranti e senza scorte». Galbiati ha quindi chiesto di «aprire un tavolo presso il ministero dello Sviluppo economico e ragionare su come supportare le farmacie nella vendita di Ffp2 a prezzo calmierato preferendo un prodotto italiano per le farmacie rispetto a un prodotto importato per il 90% dalla Cina».
La differenza di prezzo, del resto, è notevole, come spiega un reportage del portale svizzero Rsi news. Nel Paese elvetico una Ffp2 realizzata dalle imprese locali può costare tra gli 80 centesimi e gli 1,40 franchi, mentre il costo medio di importazione del corrispondente dpi cinese è di 30 centesimi. Resta alta, poi, la domanda di termoscanner, soddisfatta dall’ecommerce. La gran parte, anche in questo caso, è made in China. E non mancano le contraffazioni. Lo scorso novembre la Guardia di finanza ha sequestrato 350mila prodotti in un negozio cinese di Bari, fra cui numerosi termometri per la misurazione a distanza realizzati nel Paese asiatico ma con marchio Ce non conforme o falsificato.
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