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Che tristezza le palestre vuote

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Il cigolio dell’attrezzistica si è fermato da tempo. La musica più non scandisce esercizi e pose, fra chiacchiericcio e sguardi lascivi all’insegnante di fitness. E l’acqua, lì in piscina, è immobile, una lastra di vetro lievemente increspata lungo i bordi dal ribollire dell’impianto di filtraggio. Così resta sospeso l’universo di palestre e centri sportivi, congelato dallo scorso 25 ottobre, con la chiusura disposta dal governo per disinnescare la seconda ondata della pandemia di coronavirus. E con la chimera di una riapertura che slitta di mese in mese.

«Si parlava di gennaio, ora siamo arrivati a marzo» ci dice Valter Vieri, consigliere della Confederazione dello sport, associazione legata a Confcommercio che rappresenta (fra gli altri) gli imprenditori del settore. I danni procurati dalla serrata, rileva, sono importanti, in alcuni casi irreversibili. «Parliamo di un comparto che rappresenta circa il 5% del Pil nazionale – spiega – e non parlo solo dell’indotto di palestre e centri sportivi ma anche di quello della pubblicità, del marketing, dell’abbigliamento tecnico, sino alle imprese che realizzano borse e altre prodotti griffati con il logo o il nome dell’attività».

Molte delle aziende direttamente interessate dalle chiusure, aggiunge, «non riapriranno». Perché il virus ha fermato flussi di clienti e iscrizioni ma non i costi fissi, fra cui figurano, innanzitutto, i canoni di locazione. «È vero – sottolinea Vieri – che un impianto sportivo oggi ha diritto a un contributo in termini di credito d’imposta pari al 60% che può essere speso in conto affitto; ma il restante 40%, in assenza di sospensioni, deve essere saldato. E parliamo di una voce che pesa copre circa il 20% dei costi generali». Ci sono poi le utenze «che, seppur in minima parte, sono composte da spese fisse, indipendenti dai consumi». Senza dimenticare «le attività di manutenzione necessarie per assicurare l’efficienza della struttura».

L’obiettivo è farsi trovare pronti appena si potrà ripartire, sia pur fra le mille difficoltà determinate dai protocolli sanitari. «La normalità tornerà forse in autunno – afferma – per cui sappiamo benissimo che l’eventuale riapertura a marzo non sarà un liberi tutti. L’ingresso sarà contingentato, ciò significa meno entrate per le aziende. A questo dobbiamo aggiungere le spese per il rispetto dei protocolli, dai controlli alla sanificazione. Sostenere i costi sarà quasi impossibile. Ma ripartire quanto prima è comunque fondamentale, perché consente di sperare in un futuro migliore quando l’incubo del Covid sarà alle spalle».

Per ora restiamo in un contesto di «numeri preoccupanti», nel quale a soffrire sono sia le catene che le realtà minori. Le grandi palestre che fanno parte di network internazionali «hanno un impegno economico enorme e, in condizioni di normalità, possono contare sull’iniezione di liquidità da parte delle multinazionali che hanno alle spalle. Ma con una crisi globale in atto anche questa diventa un’operazione difficile». Quanto alle palestre di quartiere «sono ferme, impegnate, da una parte, a contrattare con i proprietari delle mura per ridurre i canoni di locazione e, dall’altra, a cercare di mantenere la clientela con le lezioni online».

E proprio il ruolo del web rappresenta un grosso interrogativo. Perché dopo un anno e passa fra smart working a attività fisica in casa le abitudini potrebbero mutare per sempre. «E’ un problema che ci siamo posti, perché c’è il rischio di un cambiamento epocale – commenta Vieri – tuttavia va detto che oggi ci troviamo di fronte a una clientela molto tecnica, che richiede insegnanti altamente formati. A ciò si aggiunge l’elemento della socialità. Dunque ci sarà voglia di tornare a fare lezioni in presenza».

Una buona notizia anche per i giovani che oggi «sono annoiati, impigriti e sovrappeso. Lo sport per un ragazzo è una valvola di sfogo, che insegna a incanalare nel modo giusto le energie. Un giovane pigro sarà svogliato nello studio e cercherà altre forme di evasione. Sono aspetti che meriterebbero un’analisi approfondita». Medio tempore il settore avrà bisogno di nuove forme di intervento da parte dello Stato. «Servono misure strutturali – evidenzia Vieri – e chiarezza sul piano normativo, altrimenti si acuisce la crisi. Certo la situazione politica, in questo momento, non aiuta…».


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