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Ormai è passato quasi un anno dal primo lockdown. La pandemia, con cui oggi conviviamo quasi come se ci fossimo abituati, era allora venuta totalmente inattesa, a sconvolgere la nostra quotidianità. Al terrore ed alle criticità che ci trovavamo ad affrontare, molti rispondevano con l’auspicio di una rinnovata normalità, cosicché quando in estate le misure di contenimento sono state allentate è parso quasi d’esser più vicini alla fine di questo sciagurato periodo.

Forse è per questo che, nonostante vi fossero ancora numeri importanti, già con la seconda ondata il modo in cui abbiamo affrontato i contagi è stato molto dissimile dal modo in cui abbiamo percepito la prima fase e la paura è stata sostituita dall’insofferenza, dopo un anno vissuto a metà.

Adesso, con gli ultimi provvedimenti adottati e con l’arrivo dei vaccini, preme sempre più la voglia collettiva di tornare quanto prima a ritmi di vita ordinari, eppure sembra che quel ritorno al quotidiano stia assumendo nuovamente i tratti di una normalizzazione di una vita fatta unicamente di consumi.

Durante la fase più critica, lo scorso marzo e non solo, era possibile uscire di casa solo per stretta necessità. Poi, anche per garantire un po’ di sollievo ai cittadini, si è scelto legittimamente di consentire una ripresa dei legami sociali, facendo sì che potessimo ricongiungerci con i nostri cari e “congiunti”. Infine, quando i numeri sono stati migliori, sono stati riaperti negozi, bar, ristoranti, che tanto hanno pagato la crisi economica dell’ultimo periodo e che, purtroppo, la pagheranno ancora a lungo. In effetti, poco più di 4 miliardi sono stati investiti dal Governo italiano per il “cashback”, iniziativa volta proprio ad incentivare i cittadini agli acquisti “fisici” – tramite pagamento digitale – nell’ottica di una prospettiva di ripresa.

Si è scelto di far ripartire l’economia, linea che era del resto già chiara sin dalla scorsa estate, quando è stato istituito il “bonus vacanze”, per evitare che tanti luoghi ed attività commerciali pagassero il peso di una chiusura durante la bella stagione. Durante il periodo di Natale, poi, la linea del Governo è stata quella di non inimicarsi eccessivamente la cittadinanza, facendo leva sul valore delle feste più che su quello della sicurezza, e concedendo alle famiglie di incontrarsi, seppur col più complicato (e colorato) sistema possibile.

Adesso, “tutta l’Italia (o quasi) è gialla”, e non è forse più possibile (se mai lo è stato) un reale controllo di tutte le zone. Ed è solo questo il momento in cui si è cominciato a ragionare seriamente sulla riapertura delle scuole, mentre i luoghi di cultura, di svago, le università, sembrano essere ancora totalmente esclusi da un reale piano del Governo. Cinema e teatri restano chiusi, lo sono ormai da un anno, mentre gli studenti ancora rincorrono un ministro dell’Università che sembra sparito da mesi. E così attorno agli atenei riaprono i negozi, mentre le aule restano, chissà ancora per quanto, chiuse.

Del resto, ce lo dicono, non è ancora sicuro un reale ritorno a quel che eravamo, e d’altra parte non sarebbe bene adottare soluzioni poco prudenti proprio ora che siamo, così ci sembra, quasi vicini alla conclusione del nostro anno peggiore. Eppure, questa legittima preoccupazione sembra un po’ troppo settoriale. Restiamo dunque in una situazione distopica, nella quale ci è finalmente possibile uscire, anche incontrarci, a condizione che questi momenti siano giustificati da quella che sembra essere ancora la priorità; consumare. I ritmi di vita sono scanditi da un ormai incomprensibile coprifuoco, istituito quando ancora la mobilità era assai limitata, e mai ritrattato.

Fino alle 22 è così possibile godere delle mezze misure che ci accompagnano, sembra, anche in questo nuovo anno, a patto di rincasare prima dell’ora delle favole. Se è da un lato comprensibile l’interesse per la sfera economica, d’altra parte è particolarmente destabilizzante pensare che ci stiamo fossilizzando in una quotidianità ben peggiore di quella che ricordavamo, con una gestione noncurante di tutto ciò che non concerne il settore economico.

Che questa possa essere una tappa necessaria dello stabilizzarsi della situazione socio-sanitaria, resta un assunto opinabile, e comunque non giustifica la totale noncuranza della classe politica per questi ambiti. La cosa maggiormente grave, infatti, non è soltanto il disinteresse per una ripresa anche della sfera “culturale”, o il fatto che non sembri essere un’urgenza, ma il progressivo abituarsi a dei ritmi atipici e, a questo punto, insensati. Se si volesse metter su carta cosa è possibile fare adesso e cosa no, si rimarrebbe quantomeno basiti, notando tutte le contraddizioni delle misure (poco) restrittive dell’ultimo periodo.

Persino la campagna vaccinale, che dovrebbe essere la priorità assoluta del Governo italiano, sembra essere incerta, annunciata senza che sia stato comunicato il modus operandi della somministrazione delle dosi. Cosa ancor più grave, dando la percezione che neppure ci sia un reale impegno nel procurarsele, mentre le notizie che riguardano i tagli delle varie aziende, i ritardi sulle consegne, vengono comunicate in modo impreciso ed inconcludente.

Le alte sfere si lamentano del rischio di dover sopportare anche una crisi di Governo, ma sembra che la crisi ci sia già, molto più radicata e capillare. Ormai è passato quasi un anno dal primo lockdown, e non sarà un cambio di maggioranza a giustificare la peggiore gestione possibile.


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