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L’ascensore sociale non funziona per gli studi universitari: nonostante il livello medio di istruzione sia cresciuto negli ultimi cinquant’anni, lo svantaggio per i giovani che provengono da famiglie meno istruite non ha subito riduzioni significative

Ancora oggi i figli di genitori laureati hanno oltre il triplo delle possibilità di laurearsi rispetto ai figli di chi ha conseguito la terza media. E ancora: nella fascia di età 30-39 anni la probabilità che i figli di laureati conseguano il medesimo titolo è del 61%, scende al 30% per i figli di diplomati e crolla fino al 18% per i figli di chi ha conseguito solo la licenza media.

Questi i dati emersi dal Rapporto Inapp-PLUS 2022 “Comprendere la complessità del lavoro” redatto da INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) al termine di un’ampia rilevazione – circa 45mila interviste. A più di dieci anni dall’ultima edizione del rapporto PLUS, che già usciva nella scia di una lunga recessione che aveva travolto il mondo del lavoro evidenziandone le debolezze, i numeri attuali sottolineano l’impatto della crisi economico-sanitaria, la polarizzazione in termini di ricchezza e opportunità e le nuove forme di fragilità legate ai modi di produzione e all’evoluzione globale dei mercati.

Dati, questi, che risultano particolarmente significativi in queste settimane dedicate alla ripresa delle attività scolastiche e accademiche e in cui si riaccendono i riflettori su tematiche quali il caro libri e il caro affitti, che rendono spesso una sfida frequentare l’università.

L’ASCENSORE SOCIALE SI FERMA AI PIANI DEGLI STUDI UNIVERSITARI

Nonostante il livello medio di istruzione sia cresciuto negli ultimi cinquant’anni – la quota di laureati è passata dal 14% dei 50-64enni al 28% dei 30-39enni – lo svantaggio relativo dei giovani che provengono da famiglie meno istruite non ha subito riduzioni significative. Secondo INAPP, le cause sono da ricercarsi nelle esperienze passate dei genitori, che possono in qualche modo “plasmare” le scelte dei figli, ma anche nelle possibilità economiche delle famiglie, nelle insufficienti misure di sostegno ai meno abbienti, nell’inadeguatezza dei servizi di orientamento e nella diffidenza sulla reale utilità del titolo di studio nel mercato del lavoro.

In particolare, nelle famiglie meno istruite la laurea non viene vista come un elemento fondamentale per l’affermazione lavorativa e i dati Ocse confermano che l’istruzione italiana si classifica tra quelle a più basso rendimento. Ma c’è di più: l’abbandono degli studi universitari è salito al 7,4% tra gli studenti e al 7,2% tra le studentesse.

A ciò bisogna poi aggiungere i fenomeni della disoccupazione intellettuale, della sotto-occupazione e della fuga dei cervelli: ci troviamo di fronte a una vera e propria emergenza della formazione e dell’uso consapevole del grande capitale umano del nostro Paese. Basti pensare che l’ultimo rapporto Istat sulle migrazioni ha certificato circa un milione di connazionali espatriati tra il 2012 e il 2021, un quarto dei quali con il titolo di laurea: abbiamo perso ogni anno tra il 5 e l’8% dei nostri giovani altamente formati.

IL RAPPORTO ALMALAUREA 2022 SULL’OCCUPAZIONE DEI LAUREATI

Il rapporto Almalaurea 2022 sulla condizione occupazione dei laureati, inoltre, ha sottolineato un aumento rispettivamente del 9,1% e del 7,7% della retribuzione mensile netta per i laureati di primo e di secondo livello, ma questi ultimi all’estero percepiscono il 41,8% in più rispetto ai giovani rimasti in Italia. A cinque anni dalla laurea il tasso di occupazione in Italia si attesta all’89,6% per i laureati di primo livello e all’88,5% per quelli di secondo livello e gli stipendi medi si attestano su 1.599 euro; all’estero, invece, la media è di 2.352 euro, con un gap del 47,1%.

Anche in questo caso le cause sono molte e vanno dalla mancanza di programmi di orientamento all’assenza di supporto psicologico, passando per la mancanza di prospettive lavorative e per le difficoltà economiche. La condizione degli studenti e dei laureati italiani merita un’attenzione maggiore da parte della classe dirigente: non è più tempo di definire i nostri giovani “bamboccioni” o di chiedere continuamente sacrifici a una generazione che non vede di fronte a sé prospettive di realizzazione. Una società che possa davvero definirsi equa e giusta implica che siano l’impegno e le ambizioni, e non il contesto famigliare oppure la posizione di partenza, a determinare lo status socioeconomico di ciascun individuo.

IL SISTEMA EDUCATIVO DOVREBBE DARE GARANZIE AI GIOVANI

Il sistema educativo dovrebbe garantire a tutte le ragazze e i ragazzi l’opportunità di prendere parte a processi di apprendimento efficaci, siano essi universitari o professionalizzanti, garantendo processi continui di aggiornamento, sostegno ai bisogni emergenti e percorsi formativi dignitosi. È, infine, fondamentale che gli interventi mirino alla riduzione delle disuguaglianze, siano essere Nord/Sud oppure piccoli/grandi centri urbani, tenendo conto delle peculiarità dei singoli territori: nel Mezzogiorno si registrano ancora oggi oltre 4 milioni di persone con solo la licenza media inferiore nella popolazione tra i 30 e i 64 anni. Maggiori e giuste possibilità farebbero bene all’intera società: è il momento di agire.


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