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Dispersione scolastica in Italia: le percentuali peggiori sulla scuola in Calabria (14%), Campania (16,4%), Puglia (17,6%) e Sicilia (21,1%)
I numeri della dispersione scolastica in Italia sono tra i più elevati d’Europa: si attesta, infatti, al 12,7%, dopo la Spagna (13,3%) e la Romania (15,3%). Ben lontani, insomma, dall’obiettivo del 9% entro il 2030 stabilito dall’UE. La percentuale di NEET (Not engaged in Education, Employment or Training) tra i 15 e il 29 anni raggiunge poi il 23,1% a fronte di una media UE del 13,1%.
Com’è distribuito il fenomeno nel nostro Paese e quali sono le cause?
Dobbiamo innanzitutto chiarire cosa si intenda per dispersione scolastica: si tratta del mancato, incompleto o irregolare percorso scolastico da parte di giovani in età scolare. In questa definizione rientrano l’abbandono scolastico, l’uscita precoce dal sistema formativo, l’assenteismo, la ripetenza, l’accumulo di lacune e ritardi nell’acquisizione delle competenze che possono compromettere le prospettive di crescita degli studenti. I dati ufficiali sulla dispersione scolastica ci vengono forniti dal Ministero dell’Istruzione, dall’ISTAT e dall’INVALSI e consentono di notare come i picchi di abbandono scolastico si registrino in Calabria (14%), Campania (16,4%), Puglia (17,6%) e Sicilia (21,1%).
La percentuale di studenti che non raggiunge adeguati livelli di lettura e comprensione del testo è passata dal 34% del 2018 al 39% del 2022, mentre in matematica si è passati dal 39% al 44%. Nel dettaglio, in italiano si va dal 34% circa del Centro-Nord al 49% del Sud. Il fenomeno della dispersione scolastica riguarda principalmente: i maschi; gli studenti e le studentesse tra i 14 e i 15 anni; i residenti delle regioni meridionali; gli alunni stranieri nati all’estero; il periodo di passaggio tra le scuole medie e le superiori.
DISPERSIONE SCOLASTICA IN ITALIA, I PICCHI NEGLI ISTITUTI TECNICI
Il fenomeno si concentra soprattutto in alcuni istituti: il tasso di abbandono nei licei è pari all’1,8%, negli istituti tecnici si attesta al 4,3% e negli istituti professionali raggiunge il 7,7%. Finire le scuole medie, inoltre, in Italia è obbligatorio. Nel 2020, tuttavia, non avevano la licenzia media ben 50mila ragazzi di età compresa fra i 20 e i 24 anni, nati cioè tra il 1996 e il 2000. Di questi, 10,6mila sono analfabeti, 15,8mila sono alfabetizzati, ma non hanno mai finito e le scuole elementari, mentre 23,3mila non hanno mai terminato le scuole medie. Fra i 20-24enni del 2020, inoltre, risulta che il 17% non abbia terminato le scuole superiori oppure si sia fermato al diploma di scuola professionale (della durata di tre anni).
I fattori di rischio della dispersione scolastica sono molteplici: riguardano la dimensione psicologica e soggettiva (attitudini demotivazione, difficoltà cognitive o di apprendimento), la situazione socioeconomica della famiglia di origine, la carenza di spazi e servizi educativi e la presenza dei cosiddetti “ghetti educativi” in cui tendono a raggrupparsi gli alunni più fragili dal punto di vista culturale ed economico, con conseguenze a cascata. La dispersione scolastica genera poi costi individuali e costi sociali, con impatti negativi sulla formazione delle capacità cognitive, emotive, sociali e sulla riproduzione degli svantaggi familiari di partenza, in un circolo vizioso che tende così ad autoalimentarsi.
LA SITUAZIONE NELLE UNIVERSITÀ
Rivolgendo l’attenzione all’università, i numeri sono altrettanto preoccupanti. Se nel 2011-2012 il tasso di abbandono era del 6,3%, nel 2021-2022 ha raggiunto il 7,3% (il 7,4% tra i ragazzi e il 7,2% tra le ragazze). Le cause dell’abbandono sono da ricercare nella mancanza di orientamento e tutorato, nell’assenza di un adeguato supporto psicologico, nella mancanza di prospettive lavorative e nelle difficoltà economiche. La Dad ha avuto poi un impatto significativo e il 33,4% degli studenti che ha avuto un atteggiamento di scetticismo nei confronti di questa modalità ha pensato di abbandonare gli studi.
Dalla ricerca “Chiedimi come sto” realizzata per conto di Spi-CGIL, Rete degli studenti medi e Unione degli Universitari su un campione di circa 30mila studenti, è emerso poi come la volontà di abbandonare gli studi sia più marcata all’università (33,7%) rispetto alle scuole superiori (22,7%) e come questa si riscontri con maggiore incidenza per gli studenti di facoltà scientifico-tecnologiche (34,8%) e umanistico-sociali (34,5%). Dal punto di vista anagrafico, la concentrazione maggiore di criticità si ritrova su profili di studenti residenti nelle Isole (28,1) e al Sud (29,7%), ma anche studenti che frequentano la scuola/l’università in una provincia o regione diversa da quella di residenza (rispettivamente 32% e 32,8%), studenti extra EU 27 (33,5%) e studenti non binari (46,4%).
Tutti questi dati risentono sì del periodo pandemico, ma rappresentano un’accorata richiesta di ascolto da parte dei giovani, che necessitano di risposte concrete e immediate.
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