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Qualche giorno fa ho incontrato i giovani del Collettivo Peppe Valarioti, che ci raccontano il loro impegno per una Calabria migliore.

Come nasce l’idea del collettivo Peppe Valarioti? C’è un episodio particolare a cui è legata la nascita del collettivo?

Il Collettivo nasce durante la pandemia e in maniera inconsapevole anche ai suoi fondatori. Eravamo infatti inizialmente solo “un gruppo di studenti e ricercatori” che si era riunito per capire quello che stava accadendo nella tendopoli di San Ferdinando. Abbiamo iniziato a studiare l’argomento, a intervistare persone che potessero fornirci informazioni e risposte, a fare ricerche. Ci siamo però presto resi conto che il nostro lavoro stava andando oltre, ci siamo chiesti, e continuiamo a farlo, dove bisogna ricercare le responsabilità di quanto stava accadendo a San Ferdinando, e in generale avviene sul territorio calabrese, che ha il triste primato di essere la terza regione più povera d’Europa. Da questi interrogativi e dalla consapevolezza di come sia necessario reinventare il terreno del dibattito e della riflessione collettiva nasce il Collettivo Peppe Valarioti.

Il Collettivo è impegnato in un grande lavoro di recupero della figura di Giuseppe Valarioti, ma soprattutto in un lavoro di analisi dei grandi fenomeni del nostro tempo. Ci volete spiegare meglio come si sviluppa il vostro impegno e quali sono i principi che vi guidano ?

La figura di Peppe Valarioti è stata per noi un punto di riferimento importante, con il suo lavoro di studioso, professore, sindacalista sempre al fianco dei meno tutelati. Sicuramente l’impegno di Peppe speso al fianco dei braccianti della Piana di Gioia Tauro ci ha guidato nel punto di partenza, ossia lo studio della condizione dei lavoratori agricoli. Ma noi vogliamo declinare il suo messaggio in questi complicati anni ‘20 del nuovo millennio, per questo il nostro sguardo è rivolto alla dimensione europea e mediterranea. Il primo passo per cambiare la Calabria è pensarla fuori dai suoi confini geografici e in relazione ai contesti più ampi in cui è inserita. Solo con uno sguardo multilivello sapremo immaginare l’orizzonte di azione e di sviluppo di questa regione.

Qual è stato il riscontro del vostro impegno sul territorio calabrese? Quali sono i vostri progetti nel breve e lungo periodo?

Abbiamo iniziato a lavorare a fine marzo, ma siamo usciti allo scoperto da circa due settimane. Abbiamo utilizzato i social media per presentarci: il nostro è un progetto trasversale che deve arrivare a tutti, giovani e adulti, calabresi e non. Abbiamo ricevuto da subito molti riscontri positivi. Ciò ci ha incoraggiato in quanto uno dei nostri obiettivi è riuscire a fare rete, costituire un network di consapevolezza e competenze per determinare un reale cambiamento in Calabria. A breve progettiamo la pubblicazione del nostro primo lavoro di “inchiesta” sulla gestione amministrativa dei flussi bracciantili stagionali che hanno interessato la Piana di Gioia Tauro nell’ultimo decennio. Abbiamo inoltre appena lanciato la nostra campagna social #NoiViVediamo in risposta a quella di Aboubakar Soumahoro #NonSonoInvisibile, per dimostrare solidarietà a tutti i lavoratori sfruttati nei campi, soprattutto dopo le ultime inaccettabili morti, da Foggia alla Sicilia. Infine, stiamo progettando un grande piano di ascolto dei giovani che si sono formati nelle Università calabresi per almeno un ciclo di studi per capire, dal loro punto di vista, quali siano i problemi nel passaggio al mondo del lavoro.

Cosa, concretamente, si dovrebbe fare per combattere le mafie e la corruzione nel nostro Paese?

Crediamo in due presupposti essenziali: capire il sistema con cui operano nei vari settori economici e definire sempre i problemi con i termini appropriati. Occorre infatti distinguere ciò che è crimine organizzato e quella che è la famosa “zona grigia”. In tutto il sud Italia, poi, inchieste della magistratura come Sud Pontino rivelano che l’intera filiera agroalimentare sia controllata – non solo inquinata! – dalle mafie, dalla semina, al packaging, al commercio all’ingrosso. Ma su questa filiera si innesca lo strapotere dei giganti europei della grande distribuzione organizzata che, a nostro giudizio, realizzano nell’economia comunitaria quell’azione definita dall’ex parlamentare Davide Mattiello di mafiosizzazione della società. Tale concetto spiega, ad esempio, come la concentrazione di quote di mercato nelle mani di colossi economici possa far sentire il piccolo produttore privato del necessario spazio di esercizio della propria attività economica ed al lavoratore che non vi siano i margini per la tutela dei propri diritti. Il crimine non può essere combattuto solo tramite l’azione repressiva ma è necessaria la prevenzione multilivello. Un ruolo chiave lo rivestono le scuole e le Università, nel coltivare nei più giovani i necessari anticorpi e nell’agevolarli nella costruzione di spazi di confronto e socialità nuovi. Ma l’azione di studio del cittadino non può limitarsi alla vita accademica!

Il Collettivo, pur avendo al centro della sua attenzione i problemi della Calabria, ha una dimensione europea e globale: questa scelta come influenza il vostro lavoro ?

Il messaggio che noi vogliamo portare all’Europa è che, i problemi della Calabria sono i problemi di tutta l’Unione perché Europa per noi significa rispetto dello Stato di diritto, dei diritti civili e sociali, cooperazione internazionale, progresso sociale ed economico. Se esiste anche una sola periferia d’Europa, quello è un fallimento europeo. Chi è cittadino europeo è anche calabrese. I principi che ci guidano, sono progettualità, collaborazione e coraggio.

E noi facciamo loro un grande in bocca a lupo, perché possano continuare a credere nel futuro della loro terra.


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