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Migranti attraversano il fiume Rio Grande negli USA da Ciudad Juarez, in Messico, dopo l’incendio nel centro di raccolta

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SOLO a gennaio, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva annunciato i dettami cardine del nuovo piano di gestione delle migrazioni dal Messico agli Stati Uniti. Basato su tre principi estremamente alti, quali «ordine, sicurezza e umanità». Del resto, insediatosi dopo il presidente probabilmente più determinato a porre un argine ai flussi migratori da oltre il Rio Grande, l’ex vice di Obama aveva fatto del miglioramento nelle procedure di regolazione e accoglienza dei migranti uno dei punti di forza della sua campagna elettorale. Ora, con le elezioni del 2024 praticamente già in vista, il tema torna decisamente a scottare. Specie a seguito di un video diffuso in rete da alcuni media, nel quale era mostrato un incendio nel centro di raccolta di Ciudad Juarez, a ridosso del confine con gli USA, durante il quale almeno due agenti dell’Istituto nazionale delle migrazioni (Inm) vengono immortalati nell’atto di lasciare i locali in fiamme senza sbloccarne le uscite.

Un comportamento che avrebbe contribuito a provocare la successiva strage: 39 morti nel fuoco, altre 29 persone ferite o ustionate, più o meno gravemente. Tutte le vittime provenivano dall’America Centrale o dal Venezuela. Una strage che ha richiamato prepotentemente l’attenzione di Washington su quel confine che il predecessore di Biden avrebbe voluto delimitare con un muro, al fine di porre un freno alle immigrazioni illegali. E che lo stesso Biden aveva intenzione di proteggere, attraverso metodi però più concilianti rispetto alle esigenze dei migranti. Un piano che, al netto delle buone intenzioni, ha dovuto scontrarsi con la bagarre sul Titolo 42, utilizzato dai Repubblicani per arginare i flussi migratori adducendo motivi sanitari e in vigore ormai da circa tre anni. Un passaggio normativo confermato dalla Corte Suprema, che ha di fatto costretto il presidente in carica a rivedere i suoi piani e pensare l’istituzione di nuovi corridoi migratori. Non solo dal Messico ma anche dal Centro America, soprattutto Cuba e Haiti. Mantenendo comunque intatto il Titolo 42, utile per i rimpatri rapidi di coloro che attraversano il confine in modo illecito.

Ciò che la pandemia aveva parzialmente limitato, però, è un affare troppo grande per essere regolato con delle semplici revisioni normative. Il caso dei latinos è grande tanto quanto lo è la crisi perenne dei Paesi sudamericani, esplosa con violenza giusto poco prima che il Covid costringesse tutti a lasciare le piazze per proteggersi dal nemico invisibile. Dall’Argentina al Perù, passando per gli Stati al di sopra del Canale di Panama, il malcontento popolare è stato messo da parte per qualche mese, per poi riesplodere, inevitabilmente, una volta passata l’ondata pandemica. Solo nell’ultimo anno, più di 2 milioni di persone sono state fermate nel tentativo di attraversare il Rio Grande, circa 9mila al giorno. Numeri così non si vedevano dal 2010. Un dramma che non manca di coinvolgere giovani e giovanissimi. Basti pensare che, secondo il National Migration Service di Panama, nel 2022 ben 211.355 i migranti venezuelani, haitiani o ecuadoregni hanno attraversato il Paese diretti negli Usa. E quasi 11 mila -10.918 per l’esattezza – come riferito dall’Unicef, erano minorenni. In questo senso, il Titolo 42 ha contribuito ad aumentare i rimpatriati ma è solo un antidoto al problema della polveriera del Centro e Sud America. Anche perché resta il dramma dei migranti regolari e di coloro che, arrivati al confine, stazionano per settimane tra accampamenti di fortuna e centri di smistamento, in attesa che vengano aperti dei corridoi o che la sorveglianza venga allentata.

Situazione che, a più riprese, ha coinvolto associazioni per i diritti umani e inasprito la posizione dei Repubblicani, convinti che l’ammassamento di migranti a ridosso della frontiera sia preludio a un’invasione di massa sul territorio statunitense. Le misure adottate in qui hanno quindi funzionato solo in parte. Da un lato, la migrazione illegale è stata effettivamente arginata. Dall’altro, però, la combinazione tra poca stabilità interna dei Paesi di partenza e impossibilità di garantire una gestione controllata dei gruppi di migranti, hanno finito per creare i presupposti per una bomba a orologeria, in uno spicchio di territorio dal quale il territorio americano è a portata d’occhio. A gennaio, Biden aveva annunciato il aro di un nuovo pacchetto di misure per favorire l’ingresso non solo ai venezuelani (destinatari di circa 24 mila visti nel mese di ottobre) ma anche a persone provenienti da Haiti, Cuba e Nicaragua, per un totale di 30 mila visti, previa presentazione di una richiesta di permesso di lavoro fino a due anni e permanenza sul territorio di partenza fino alla conclusione dell’iter burocratico. Un modo per regolare al meglio un piano che, fin qui, ha concesso parametri precisi quasi esclusivamente ai migranti provenienti dal Venezuela. Il problema, però, è decisamente più esteso. Col rischio di catastrofe umanitaria che, come dimostra l’incidente di Ciudad Juarez, cresce in proporzione.


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