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FIN dall’inizio dell’emergenza sanitaria si sono sprecati i paragoni con i capitoli dei Promessi Sposi dedicati alla peste, la pandemia ci ha imposto di ricercare esempi, parallelismi e soluzioni nel romanzo di Manzoni, quasi a volerci rassicurare sulla ciclicità degli eventi storici per confidare in una rapida conclusione. Certamente saturi, manca tuttavia un ultimo aspetto da considerare che, alla luce degli eventi più recenti e della ormai passata fase uno – certamente la più tragica, che mal ammetteva riflessioni più critiche – non è più possibile ignorare.
Tra i proclami più ottimistici della crisi sanitaria vi era, infatti, l’auspicio che la diffusione a livello globale di un male simile potesse appianare le divergenze tra i popoli, perché un virus non fa distinzione tra ricco, povero, valoroso e mellifluo, colpisce senza badare al presunto valore dell’ospite, eppure si tratta sicuramente dell’ennesima utopia a cui ci siamo aggrappati per mantenere un clima sereno e propositivo. In realtà, una società capitalistica come la nostra non può che svilupparsi imponendo a prescindere dalla crisi le gerarchie imposte. Se ripenso al film 2012, incentrato sulla presunta apocalisse predetta dai Maya, ricordo bene come una minima parte della popolazione sia riuscita a salvarsi e non certo per meriti personali, quanto grazie ai soldi e al potere accumulato, che doveva essere abbastanza per farti guadagnare il biglietto per la novella arca di Noè che avrebbe salvato uomini e animali.
Un ritratto realistico, che tuttavia non riscontriamo nel testo base usato per trovare le similitudini col covid: nella ricerca di un arco narrativo volto ala redenzione e a un – per quanto faticoso – “lieto fine”, ha portato lo sviluppo manzoniano a una rappresentazione del personaggio di Don Rodrigo, antagonista principale della storia de I Promessi Sposi, che suona poco credibile adesso. Il modo in cui viene dipinta la sua ricchezza e la sua influenza nella società del tempo, infatti, non rende credibile che il Don potesse essere tradito da uno dei suoi scagnozzi e inoltre relegato a essere curato insieme a qualunque altro malato, di rango e prestigio decisamente inferiore al suo. Una parabola funzionale alla storia, per costruire un epilogo quasi pietoso nella sua natura religiosa, ma che non vuole dare assoluzione in ultima istanza, a differenza della sua controparte più attuale e realistica, quella degli imprenditori facoltosi che di recente sono stati ricoverati per essere risultati positivi al covid.
Fin dall’annuncio di una possibile apertura delle discoteche, la voce più forte è stata quella dell’imprenditore (e da qualche mese aspirante politico) Flavio Briatore, che non solo criticava le misure preventive adottate dal governo nei mesi di lockdown, ma ha seguito anche col criticare la chiusura dei locali notturni con l’aumento dei casi e dei focolai. Ed è proprio il “Billionaire”, il suo locale più famoso, il luogo che ha fatto più discutere soprattutto per i picchi di contagi tra vip e non vip registrati nella struttura. Nonostante le difese di Briatore, infatti, pare che non si rispettassero pedissequamente le norme di sicurezza standard, figurarsi quelle anti-covid, cosa che in realtà ha accomunato quasi ogni locale notturno della penisola prima dell’inevitabile chiusura del 17 agosto.
Non ha quindi stupito che, in seguito, a risultare positivo sia stato non solo Briatore, ma anche un paio di grosse personalità con cui aveva interagito nell’ultimo periodo, uno su tutti: Silvio Berlusconi. Da allora, sono giorni di continui aggiornamenti sul loro stato di salute e soprattutto dello stato del loro ricovero. A differenza del personaggio letterario, la loro situazione ha potuto essere ben diversa. Notizie di stanze private, in ospedali privati – che durante il lockdown hanno goduto di numerose donazioni – con servizi esclusivi che un ricoverato standard si sogna, hanno presto occupato ogni giornale. L’intento potrebbe sembrare quello di voler istigare una sorta di “invidia sociale”, ma la noncuranza con cui sono state lasciate in secondo piano le storie di lavoratori sfruttati e costretti a lavorare in condizioni rischiose dovrebbe farci riflettere sulle disuguaglianze sociali e l’utopia di un virus pianatore delle differenze, perché magari il covid non distingue l’ospite ma le cure a cui può accedere sì. Ciò che apprendiamo è che non tutti i malati sono uguali o trattati nello stesso modo.
Nel nostro tempo, o nella nostra storia, Don Rodrigo non sarebbe stato affatto tradito, sarebbe riuscito a corrompere o a “meritarsi”, grazie a soldi e conoscenze, un sistema di cure privato e discreto, che gli avrebbe permesso di non mescolarsi alla plebe e affrontare le conseguenze delle continue sopraffazioni inferte per il gusto di, o perché la sua posizione sociale glielo permetteva. Manzoni, di fatto, ci illude che i privilegiati dal sistema, che lo hanno sfruttato per i propri scopi, possano in qualche modo confrontarsi con il karma, ma sappiamo bene che il popolo continuerà a ignorare chi mette i propri dipendenti in pericolo e a puntare il dito contro i disperati che vengono dal mare.
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