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Tyrone Curtis “Muggsy” Bogues (Baltimora, 9 gennaio 1965) è un ex cestista e allenatore di pallacanestro statunitense, professionista nella NBA. Playmaker di ruolo, è noto per essere stato, con i suoi 160 cm scalzo, il più basso giocatore nella storia dell’NBA. Scelto come dodicesimo nel Draft NBA 1987, nella sua carriera ha giocato negli Washington Bullets, negli Charlotte Hornets dei Golden State Warriors e nei Toronto Raptors.
C’è posto per te. La trama, il plot, ha parecchie versioni: biblica quella di David contro Golia; epica quella di Ulisse che affronta il Ciclope, Nessuno che acceca e sconfigge Polifemo; romanzesca e letteraria quella di Lemuel Gulliver, pseudonimo di Jonathan Swift che al suo secondo viaggio, dopo l’approdo nella terra dei bassotti di Lilliput, si trova a Brobdingnag, nella situazione rovesciata, in mezzo ai giganti; sportiva quella di Tyrone Curtis “Muggsy” Bogues, di Baltimora, Maryland, Stati Uniti. Storie, ciascuna, di un “piccolo grande uomo”.
Bogues era un ragazzo cresciuto (si fa per dire, giacché al suo top risultava alto un metro e sessanta centimetri, misurato scalzo) a East Baltimore, nel cuore del Lafayette Housing Project, un formicaio oggi demolito che era luogo “sconsigliato ai visitatori”. Un quartiere “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi”, per dirla con il poeta Fabrizio De André. La famiglia Bogues era nella media delle statistiche sociali del sito: una madre single e lavoratrice, un plotoncino di fratelli, un padre in galera nel carcere di Baltimora, condannato per rapina a mano armata.
Tyrone in casa veniva chiamato “apple”, mela, per via della rasatura completa; in strada, e il nomignolo gli restò appiccicato per sempre, veniva apostrofato “Muggsy”. Muggs era un personaggio di una fiction, i “Bowery Boys”, si chiamava McGinnis ed era un bassotto rapinatore di New York: la radice di “muggs”, nell’Urban Dictionary, è definita come “alias stivali rapaci. Derivati dagli stivali ‘ugg’ inspiegabilmente popolari, i babbani sono calzature orribilmente poco attraenti, ora adottati dai maschi, ‘ugg’ maschi, quindi ‘rapinatori’”. Tyrone somigliava a McGinnis.
Il ragazzo che dormiva con il pallone da basket nel letto (“Ho smesso di farlo quando ho preso moglie: da allora dormo con lei” sorrideva poi) si fece un nome come cestista nella quotidianità del playground. Magari non sarebbe mai diventato uno schiacciatore, perché pur avendo una elevazione di un metro e dieci nel salto e pure tendendo le braccia, partendo da quella statura, arrivava a malapena a toccare il ferro. Però che playmaker diventava! Per un paio di ragioni almeno, oltre quella di saper giocare a basket: aveva una velocità impressionante che gli consentiva di sgattaiolare fra quelle gambe infinite della concorrenza che erano lunghe quanto lui tutto intero, e una abilità nel palleggio che era di pochissimi e che, oltre che per il gesto in sé, metteva in difficoltà le giraffe che aveva intorno perché era un funambolo a bassa quota.
Già durante gli anni della scuola faceva faville, anche se ogni suo ingresso in campo suscitava qualche commento ironico, pure se ci si aspettava che crescesse un po’. Non crebbe. La scuola è un conto, il college un altro: come salirà di categoria, scenderà di rendimento, dicevano.
Tra le proposte di college, accettò quella di Wake Forest, in North Carolina. Continuò a non crescere ma a fare il fenomeno sul legno duro. Tanto che venne convocato per i mondiali dell’86 in Spagna: ancora la Nazionale statunitense era solo universitaria e quelli dell’Nba non erano ammessi (e non ne soffrivano…).
Fu il fenomeno di quei mondiali: il popolo del basket s’innamorò di quel piccoletto che sgusciava a ritmo altissimo da tutte le parti, i giganti se lo sentivano alle spalle ma non lo vedevano e lui compariva loro davanti dopo aver “rubato” il pallone. Gli Stati Uniti vinsero il titolo anche quella volta, con “Muggsy” nel quintetto titolare.
Sì, ma un conto è l’Ncaa, un altro l’Nba, dicevano i soliti santoni. Ma Bogues, come ebbe a dire, non pensava all’altezza, pensava solo al basket. Al draft dell’87 fu la scelta numero 12 dei Washington Bullets.
Passò, con l’Expansion Draft che venne fatto per l’avvento di nuove squadre, proprio alla fresca franchigia dei Charlotte Hornets. La scelta non fu probabilmente, né almeno soltanto, tecnica, ma piuttosto mediatica. Gli sarebbe stato compagno di squadra Manute Bol, due metri e 31, il più alto dell’Nba: 71 centimetri di differenza. “Lo avevo visto in televisione e mi era sembrato alto, ma dal vivo lo era ancora di più” scherzava Muggsy raccontando il primo incontro. La foto di loro due divenne un must per quotidiani, riviste e tv, non solo nelle pagine specializzate del basket: era un confronto che intrigava. Bogues se la cavò splendidamente nelle nove stagioni che passò a Charlotte e la città della North Carolina ne fece un beniamino. Lui ricambiava, tanto che a fine carriera (14 anni, 889 partite) Tyrone ci è andato a vivere.
Epica, delle 889 partite, fu una contro i New York Knicks e contro un “tipetto” come Patrick Ewing, che era alto 2,13 metri e pesava 109 chili. Bogues 64. Muggsy gli fece una stoppata che lasciò il colosso Pat di sale. Non era la prima né l’ultima del piccoletto: gli statistici dell’Nba alla fine della storia ne hanno contate 39 a suo favore.
Era talmente popolare che Michael Jordan lo volle in squadra con lo stesso Ewing, Larry Bird, Charles Barkley, Vlade Divac e altre stelle dell’Nba nella squadra che recitò nel film “Space Jam”. Era fra quei campioni destinati ad essere oggetto del “furto di talento” da parte dei Monstars. C’è posto per te, gli disse Air Jordan, chinandosi dall’alto dei suoi quasi due metri (1,98).
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