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UNA scuola “attenta ed informata, che gioca il suo ruolo di sorveglianza dei ragazzi con le sue strutture, dove i docenti sono affiancati da figure come quella che una volta era rappresentata dal medico scolastico”. Le famiglie, che devono sia essere “attente e informate per intercettare i sintomi precoci dei disturbi dei figli da dipendenze comportamentali”, sia agire con i propri figli per il “rispetto di regole concordate”, ad esempio sull’uso di Internet, per garantire loro un sonno ristoratore, fondamentale per la salute. Infine, “più strutture dedicate di tipo pediatrico per la cura dei disturbi da dipendenze comportamentali”.
Per Roberta Pacifici, già Direttore del Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sono questi i tre capisaldi dell’azione tesa ad affrontare i rischi di dipendenze comportamentali che colpiscono quasi 2 milioni di adolescenti della “Generazione Z”. “I nostri dati – spiega al Quotidiano del Sud – dicono in modo molto chiaro che le famiglie che mettono delle regole proteggono i ragazzi dalle dipendenze. Dove ci sono limiti all’uso e ai tempi di Internet la percentuale di ragazzi con profili di disturbo di dipendenza è significativamente più piccola”.
Lo studio ISS
Secondo lo studio “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z”, coordinato da Pacifici e frutto di un accordo tra il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, basato su un campione rappresentativo di oltre 8mila700 studenti tra gli 11 e i 17 anni su tutto il territorio nazionale, più di un milione e 150mila adolescenti fra gli 11 e i 17 anni in Italia sono a rischio di “food addiction”. A questi giovani che “abusano di cibi grassi o dolci” – da non confondere con chi soffre di disturbi dell’alimentazione e della nutrizione come l’anoressia e la bulimia – si aggiungono circa 480mila a rischio di dipendenza da videogiochi. I ragazzi sono più colpiti delle ragazze alle medie (18%) e alle superiori (13,8%). Sono invece 99mila 600 gli studenti intervistati con le caratteristiche compatibili con una dipendenza da social media, maggiormente diffusa nelle giovani di 11-13 anni alle medie (3,1% del campione) e alle superiori (5,1% delle studentesse di 14-17 anni). Quanto alla cannabis, il 22,3% degli studenti delle superiori ha risposto di averla fumata. Completa il quadro la schiera di coloro che si sono isolati socialmente tutti i giorni negli ultimi sei mesi: sono circa 30mila175 alle medie (1,8% del campione) e 35mila792 alle superiori (1,6%), con una prevalenza femminile, particolarmente critica per le tredicenni. Questo comportamento, conosciuto come Hikikomori, è stato al centro anche di uno studio specifico dell’Istituto di Fisiologia clinica del CNR (vedi piè di pagina).
Nei ragazzi dormire poco e male si associa alle dipendenze
La ricerca ISS, sottolinea Pacifici, “evidenzia il legame che ha il sonno con le dipendenze. Molta letteratura scientifica sta mettendo in correlazione il disturbo del sonno nell’infanzia con lo sviluppo di personalità tendenti alle dipendenze. Anche i nostri dati sembrano confermarlo. Tra i ragazzi che hanno profili di dipendenza da social, food o altre tipologie, spicca la percentuale più alta di quelli che dormono meno di sei ore e che hanno dei tempi di addormentamento che superano i 45 minuti: una qualità del sonno, nella fascia 14-17 anni, che non è buona. Tutto questo fa emergere che dormire poco e male è pericoloso perché è associato significativamente alle dipendenze”.
Una nuova visione per atteggiamenti poli-dipendenti
Dalla ricerca ISS emerge anche che i giovani hanno difficoltà a confidare ai propri genitori ciò che li preoccupa: una difficoltà vissuta in particolar modo da coloro che sono nella situazione più critica, mentre la mamma e il papà non sono in grado di intercettarne i segnali. “Tutti questi dati – spiega ancora Pacifici – hanno dimostrato che al di là delle tante variabili c’è un fil rouge che è l’ansia sociale grave che caratterizza le persone con queste dipendenze comportamentali e la depressione. Ragionando su questi dati è possibile capire quale possono essere le contromosse per aiutare il più precocemente possibile questi ragazzi e le loro famiglie. Queste ultime non possono essere abbandonate, perché anche nella difficoltà di intercettare precocemente i segnali rimangono la struttura di riferimento”. In questo contesto, per Pacifici occorre “una nuova visione per atteggiamenti che oggi sono poli- dipendenti: una sostanza o un comportamento traina gli altri, ma non è l’unico”.
Il “combinato disposto” di dipendenze “pone una sfida enorme alle strutture e ai soggetti che se ne devono occupare, per la precocità della diagnosi e per la presa in carico”. La diagnosi precoce – conclude l’esperta – “passa per una famiglia e una scuola attente ed informate, dove la figura del medico scolastico, a suo tempo abbandonata, potrebbe essere sicuramente importante, perché capace di intercettare precocemente tutti i segnali di allarme ed essere il punto di congiunzione sia con la famiglia sia con le strutture del territorio per la presa in carico del giovane”.
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