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«Sono giovane e in salute, non mi interessa». Frase ricorrente in tempi di pandemia, buttata lì mentre si sbuffa dietro la mascherina. Errore di percezione che deriva, perlopiù, dai dati sulla letalità del coronavirus, che miete vittime soprattutto fra gli anziani.

Ma la realtà, in parte, è diversa. Stando agli ultimi rapporti dell’Iss sulla situazione epidemiologica in Italia, la maggior parte dei contagiati è collocata in una fascia di età compresa fra i 19 e i 50 anni (46,1%). Seguono le fasce 51/70 (27,9%), over 70 (13,1%) e 0/18 (12,9%). L’età mediana di chi ha contratto il virus, lo scorso 11 novembre, era di 43 anni. A ben vedere, dunque, la parte di popolazione più anziana, conta un minor numero di contagiati rispetto alle altre, giovanissimi a parte. La musica, ovviamente, cambia se si parla di decessi. A metà novembre, infatti, le vittime under 50 del virus erano 472, pari all’1,1% del totale. Centonove di questi avevano meno di 40 anni.

Basta questo per sentirsi al sicuro? No, ovviamente. Un recente studio pubblicato sulla rivista Usa Jama internal medicine rivela che, sul fronte degli ospedalizzati, molto spesso il virus colpisce duro proprio chi è più giovane. Fra gli oltre 3mila e 200 ricoverati nei nosocomi americani di età compresa fra 18 e 34 anni, il 21% è finito in terapia intensiva, per il 10% si è resa necessaria la ventilazione meccanica e il 3% (88 persone) è morto. «Per la maggior parte dei giovani adulti colpiti dal Covid 19 il ricovero non è necessario ma per quanti finiscono in ospedale il rischio di un esito avverso è davvero elevato» ha spiegato Scott Solomon, autore della ricerca e professore di medicina ad Harvard. Le possibilità di un peggioramento del quadro clinico aumentano in caso di obesità, diabete e ipertensione. In sostanza, secondo lo studio, un giovane che abbia una o più patologie di questo tipo corre gli stessi rischi, se contrae la Covid, di una persona sana di mezza età. C’è poi l’enigma, ancora da sciogliere, degli effetti nel lungo periodo. Da diversi studi realizzati su pazienti asintomatici (e i giovani quasi sempre lo sono) emerge che più della metà presentava anomalie polmonari, mentre uno su cinque potrebbe sviluppare danni al cuore derivanti dall’infezione. Per non parlare delle possibili interazioni della malattia con il sistema nervoso, da cui deriva – ad esempio – la perdita temporanea di gusto e olfatto.

Ci sono poi le conseguenze psicologiche e sociali che seguiranno la pandemia. Il venir meno della possibilità di esprimere fisicamente la propria affettività va sicuramente a limitare l’esplosività emotiva tipica dell’adolescenza e dei venti anni. E frena i gesti più intimamente significativi, dalle passeggiate mano nella mano ai baci. Da uno studio condotto dall’ospedale pediatrico “Gaslini” di Genova (campione 6.800 soggetti) emerge che a meno di un mese dalla fine del lockdown il 71% dei giovani di età compresa fra i 6 e i 18 anni presentava problematiche comportamentali e sintomi di regressioni. Nei bambini e negli adolescenti, in particolare, i disturbi più frequenti erano legati all’ansia. Fra questi, mancanza d’aria e difficoltà ad addormentarsi e a svegliarsi.

Non mancano le implicazioni sessuali. Una ricerca promossa dal colosso dei profilattici Durex e condotta su 500 italiani (età: 16/55 anni) ha evidenziato che durante la pandemia l’83% degli intervistati ha avvertito un calo del desiderio. A crollare non sono solo i rapporti con partner occasionali (dal 35% al 3%) ma anche quelli normalmente consumati nelle relazioni stabili. In calo anche i baci (dal 63% all’8%) e il sesso orale (dal 48% al 4%). Restano stabili l’autoerotismo (dal 62% al 60%) e la visione di film porno online (dal 38% al 37%). A freddare la passione sono soprattutto l’ansia e la paura di contagiarsi.


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