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Laura Dalla Ragione, direttrice Centro Disturbi del comportamento alimentare

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Il cibo come nemico. In Italia sono 3milioni le persone affette da disturbi alimentari, soprattutto ragazze e ragazzine. La pandemia, le chiusure, con i loro effetti collaterali di paure e isolamento, non fanno altro che esacerbare il problema. A lanciare l’allarme è Laura Dalla Ragione, direttrice del Centro Disturbi del comportamento alimentare USL1 Umbria, che la scorsa settimana ha dato alle stampe “Cuori invisibili – Obesità e disturbo da alimentazione incontrollata in età evolutiva”, curato insieme a Simone Pampanelli. «Il numero era già in crescita», spiega. «L’ultimo osservatorio del ministero della Salute ci conferma che i pazienti in tutta Italia affetti da disturbi alimentari sono circa 3milioni». E ora ci si mettono anche Covid e confinamenti.

Dott.ssa, quanto è cresciuto il numero di persone affette da disturbi alimentari nel 2020?

I dati ci dicono che durante i primi mesi dell’anno, nel picco della pandemia e in pieno lockdown, si è registrato un aumento del 30%. E purtroppo la tendenza sembra continuare anche nei mesi successivi.

A cosa è dovuto?
Al trauma che pandemia e relativo lockdown hanno determinato nei giovani, costringendoli a rinunciare alle relazioni sociali, alla scuola, alla vita normale, e immergendoli in un clima di paura. A risentirne sono soprattutto i più piccoli: non è un caso che sia aumentato moltissimo il numero di bambini tra i 10 e i 12 anni con questi disturbi.

Stanno aumentando tutti e tre i disturbi alimentari: anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata?
Sì. Perché sotto stress il cibo viene assunto o troppo poco o troppo. In entrambi i casi rappresenta una valvola di sfogo. C’è poi un altro problema dovuto alla pandemia in corso.

Quale?

Le possibilità di assistenza sono molto ridotte perché il Covid assorbe le risorse sanitarie. Quindi i disturbi alimentari, così come altre patologie, vengono messi in secondo piano nonostante continuino ad esistere ed anzi stiano aumentando contestualmente al Covid.

Potrebbero esserci dei casi sommersi dovuti alla paura di contrarre il Covid rivolgendosi agli ospedali?

Il sommerso è la norma nei disturbi alimentari. Per due ragioni: perché si tratta di una patologia di cui sovente i ragazzi non hanno consapevolezza e poi perché, laddove se ne accorgono, se ne vergognano anche. Purtroppo questa difficoltà a riconoscere il problema è presente anche nelle famiglie. E invece è molto importante che ci sia una diagnosi precoce, poiché queste sono patologie da cui si può guarire, ma è necessario intervenire in tempo. Troppo spesso le ragazze arrivano a rivolgersi a noi dopo tre o quattro anni: così si perde del tempo prezioso.

Cosa porta ai disturbi alimentari?

Un dispercezione corporea, ossia quando si ha una visione allucinatoria del corpo: lo vedono sempre grasso anche quando sono magrissime, è come se si guardassero a uno specchio deformante. Non si tratta di mode né di capricci, bensì di un disturbo psichiatrico grave.

Come mai i disturbi alimentari sono insorti relativamente di recente?

Perché hanno sostituito in parte le depressioni. Oltre all’aumento dei disturbi alimentari, infatti, si registra anche un calo delle forme depressive negli adolescenti. È un disagio figlio della nostra epoca, in quanto legato alla cultura dell’apparire e al cibo, due ossessioni contemporanee.

Essere giovani oggi è più difficile che in passato?

Assolutamente sì. La costruzione di un’identità per un adolescente è oggi molto più difficile rispetto a 30-40 anni fa, a causa del mito della felicità, della negazione del dolore, della competizione; tutti aspetti amplificati dai social, perché i ragazzi non si misurano più soltanto con i compagni di classe ma con centinaia di coetanei. Il senso d’inadeguatezza è uno dei mali dei nostri giovani.

In un suo libro scrive che «l’anima ha bisogno di un luogo». È questa la chiave?

La frase è del filosofo greco Plotino. Ogni sofferente deve trovare un luogo, ovvero un incontro con qualcuno che lo accolga e che gli voglia bene. Questo luogo può essere la famiglia, la scuola, un spazio di cura. L’importante è che non manchi mai l’affetto.


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