Chiara Santamaria
6 minuti per la letturaTRA gli articoli pubblicati sul suo seguitissimo blog ce n’è uno dal titolo “Tutte le cose che vorrei dirti”, nel quale, rivolgendosi alla figlia Viola oggi 12enne, Chiara scrive: «Vorrei dirti che qualsiasi siano le tue scelte, io ti amerò comunque. Qualunque siano i tuoi errori, non saranno mai troppo grandi per me. E qualunque siano i tuoi sentimenti, andranno bene. L’unico vantaggio, forse, di avere una mamma che ne ha passate tante, è che mi risulta molto difficile giudicare e molto facile ascoltare, e comprendere».
Ecco, comprendere e non giudicare forse è l’unico vero superpotere di una mamma. E Chiara Santamaria, 39 anni, romana ma cittadina londinese negli ultimi otto anni, blogger di successo, lo sa bene. Lei, mamma, con le donne e mamme ci parla da dodici anni attraverso il suo blog “Ma che davvero”. Online racconta di sé e delle proprie esperienze a cuore aperto, infischiandosene dei giudizi sociali e facendo spallucce all’imperante modello italiano della donna e mamma multitasking: premurosa e presente con i figli, padrona di casa impeccabile, ma pure donna in carriera, in forma e possibilmente sempre giovane (se non lo si è anagraficamente, almeno milf!).
Tutto in nome di uno stereotipo fintamente femminista: le donne fanno tutto meglio e più velocemente degli uomini… e quindi è meglio che facciano tutto loro. Chiara, intuita la fregatura, non c’è stata. Da qui il successo del suo blog, che nel tempo si è aperto anche ad altri temi e oggi è un portale di confronto su libri, serie televisive, viaggi e altri argomenti di tendenza.
Mi racconti come sei diventata blogger?
«A 27 anni lavoravo in un’agenzia di pubblicità con un contratto a progetto ed è successo che, inaspettatamente sono rimasta incinta. Se la gravidanza forse non rientrava nei miei progetti immediati, senz’altro non rientrava in quelli del mio datore di lavoro. Per prima cosa mi sono ritrovata disoccupata. Un bel colpo, se consideriamo che poi, con una bimba piccola, il lavoro pur cercandolo non l’ho più trovato: infatti ci si è messa anche la crisi epocale del 2008».
Caspita. Questa è una storia che purtroppo ho già sentito molte volte…
«Lo so. E io di voglia di fare ne avevo. Già dal primo periodo della gravidanza, sentivo che il ruolo sacrificale della madre italiana proprio non mi apparteneva. Sai che cosa intendo per ruolo sacrificale? Quello per cui la madre deve rinunciare di buon grado a sé stessa per sobbarcarsi tutto il carico della vita familiare. Per la società deve diventare un essere unilaterale dedito ai suoi cari. Altrimenti si è delle egoiste, viste male dall’intera collettività, comprese le altre mamme. Sembra incredibile, ma ancora oggi dopo anni di battaglie femministe il giudizio sociale resta pesantissimo. Ad esempio: se il papà viaggia per lavoro, va tutto bene. Lo fa la mamma? Eh però potrebbe restare a casa, ai figli chi ci pensa… Per me è ovvio che in quel caso ci debba pensare il padre. L’ottica paritaria mi sembrava scontata, e invece non lo è».
Pensi che in Italia la madre sia più soggetta al giudizio sociale rispetto ad altri paesi?
«Fino all’anno scorso ho vissuto per otto anni a Londra. Posso dire che nel mondo anglosassone le madri sono più rilassate. Se il bambino cade ai giardinetti, le mamme non si sentono fallite se nei primi due secondi non sono scattate nei soccorsi. Se la casa è in disordine non cadono nello sconforto, sono molto meno giudicate. E in famiglia c’è più condivisione dei compiti. È una questione culturale».
Ok. Torniamo alla prima domanda: come sei diventata blogger?
«Ero confusa e col pancione. E mi sono messa a scrivere, quello che so fare meglio e che mi piace di più. Ho aperto il blog e ho raccontato la mia versione dei fatti, le mie paure come i momenti più belli dell’avventura della maternità».
Il blog è partito subito bene?
«Sì. Dopo qualche mese ho iniziato a vedere che la mole di traffico e di attenzione era crescente. In realtà io avevo fatto tutto d’istinto, non mi ero resa subito conto d’essermi inserita in un settore del web ancora poco esplorato, di cui c’era la necessità. Le madri oggi sono essenzialmente sole. L’antica rete sociale fatta di sorelle, cugine, vicine, amiche che sono madri tutte insieme e si sostengono a vicenda è venuta meno. Per molte donne l’esperienza della maternità è vissuta in grande solitudine. C’è tanto bisogno di condividere, anche solo sul web. Così molte donne hanno iniziato a leggermi, a condividere le loro impressioni. Parliamo di donne dai 25 ai 45 anni. È iniziato un confronto bellissimo che non si è più fermato. Il blog non è un luogo dove la comunicazione è unilaterale, questo confronto ha fatto molto bene anche a me. Oggi, tra il sito e le piattaforme social, raggiungo i 300.000 mila followers».
I brand si sono fatti avanti subito?
«I tempi non erano ancora maturi. All’inizio ho lavorato collateralmente al mercato del web. Grazie al blog ho iniziato a collaborare con dei magazine come Cosmopolitan Italia, Gioia Magazine, Vanity Fair Italia, e a fornire consulenze per la comunicazione sul web».
Poi nel 2010 hai scritto un libro: “Quello che le mamme non dicono”.
«Il libro ha avuto un bel riscontro, generando l’interessamento delle aziende che hanno iniziato a propormi delle campagne pubblicitarie sul mio portale. Poi nel 2012 è esploso il mercato di Instagram e degli altri social media, i brand hanno cominciato a investire sui profili più di tendenza e io che avevo un blog già ben avviato, mi sono trovata in una posizione di vantaggio».
Sei diventata un’influencer. Ti identifichi nel ruolo?
«Non sta a me stabilire se esercito un’influenza su qualcuno, con gli altri preferisco il confronto. Io mi ritengo una content creator, una creatrice di contenuti per il web. Questo è un lavoro in costante evoluzione, dove bisogna sempre aggiornarsi, anche se nessuno ti insegna come si fa. Io non ho assistenti, faccio tutto da me: scrivo, ho imparato ad orientarmi tra le varie piattaforme, a usare applicazioni, programmi di montaggio e grafica, a fare le fotografie professionali. La formazione è continua se si vuole rimanere nel trend. Oggi si lavora molto su Instagram, ma non si sa come si evolverà il web».
Il tuo lavoro prima era focalizzato sulla maternità, poi ti sei orientata di più sul life style. Come mai?
«Viola non è più una bimba piccola. È una 12enne con la sua vita, il suo mondo, le sue esigenze, non mi sembrava giusto esporre la sua vita online. E poi anche io ho nuove passioni, esigenze da condividere. Altrimenti mi annoierei».
Nel 2012 sei andata a vivere col tuo compagno e tua figlia piccola a Londra. Dopo otto anni nel settembre scorso, avete deciso di rientrare in Italia e ti sei trasferita con la tua famiglia a Milano. Perchè?
«Otto anni fa il mio compagno aveva avuto un’occasione di lavoro in Inghilterra e visto che il blog mi consente di lavorare ovunque, ci siamo trasferiti. Siamo stati felici a Londra, ma dopo otto anni abbiamo sentito che si era chiuso un ciclo. Quattro anni fa io e il mio compagno abbiamo fondato una società di servizi di digital marketing la Full Swing, siamo liberi professionisti, indipendenti. E quando abbiamo sentito il desiderio di rientrare, lo abbiamo fatto. Viola è cresciuta in Inghilterra e se poi vorrà studiare a Londra, lo potrà sempre fare. La vita è una sfida continua, ed è bella così».
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