Vittorio Sgarbi nell'aula della Camera
5 minuti per la letturaQuello appena trascorso è stato un 25 giugno decisamente particolare per l’Onorevole Vittorio Sgarbi: dall’accesa discussione alla Camera in merito al Decreto giustizia a cui il critico ha opposto una commissione d’inchiesta per la nuova “Palamaropoli” culminata con la sua espulsione dalla seduta, all’inaugurazione come Sindaco della terza edizione degli “Incontri a Sutri, da Giotto a Pasolini”, un’esposizione ideata dallo stesso Sgarbi e progettata da Contemplazioni con la partnership di Intesa Sanpaolo che ha il merito di spaziare da “Il Grande Crocifisso” attribuito a Giotto ai “Korai” di Alessio Deli.
La mostra, ora aperta al pubblico, si tiene all’interno di una cornice anch’essa opera d’arte come il Palazzo Doebbing sebbene, a dire il vero, tutta la Tuscia riesca a togliere letteralmente il fiato ai suoi avventori. E proprio nel cortile del celebre palazzo ci ha accolti per l’inaugurazione come un bravo padrone di casa Vittorio Sgarbi, fresco del trasporto coatto fuori dall’aula di Montecitorio (scena già divenuta celebre e trasformata nel “meme” del mese dal fantastico mondo degli internauti) e successivamente catapultatosi a Sutri per la mostra. Ca va sans dire, le polemiche non si sono di certo arrestate davanti ai battenti chiusi dell’emiciclo: tra chi sostiene che il suo gesto sia stato talmente memorabile da divenire icona della libertà di pensiero e d’espressione nel moderno Occidente e chi reputa, invece, i toni e le accuse mosse dal critico d’arte poco consoni rispetto al ruolo politico che Sgarbi va a ricoprire, l’attesa per una qualche forma di commento in merito da parte del Sindaco era decisamente palpabile e, in realtà, non è stata vana.
«Non faccio polemiche per aumentare il mio cachet, come qualcuno erroneamente sostiene» ha commentato l’onorevole, «sono così sin da ragazzo, sin da quando ero in collegio e già mi ribellavo alle verità rivelate o presunte tali, come oggi in Parlamento. Sin da quando, a nove anni, ho capito che sarei diventato un personaggio storico. La mia è sempre stata una posizione alla “uno contro tutti” che, col passare degli anni, comincia certamente a pesare e di queste posizioni controcorrente sono titolare, appunto, sin da bambino. Ognuno è libero di pensare ciò che crede ma è difficile, se non impossibile, ragionare con qualcuno che ti offende e si scandalizza per le parole usate pur sapendo che il Movimento 5 Stelle è entrato in Parlamento a suon di “vaffanculo”, salvo ora difendere le donne dalle offese di Sgarbi. È evidente che non faccio distinzione alcuna tra uomini e donne in merito ai toni che uso. Semplicemente ad un certo punto della mia vita mi sono trovato a verificare che l’azione dei Magistrati fosse, delle volte, più minacciosa della cattiva politica e non l’ho mai taciuto».
Una posizione, quindi, quella del deputato in contrasto con le “vulgate di verità”, un ribellismo che ha definito «non ideologico né politico».
Sgarbi, cosa pensa in merito all’emergenza Covid-19 e alla sua gestione?
«Spesso sono stato fermato per strada da persone che mi dicevano fossi l’unico a portare un po’ di speranza anche nel pieno della pandemia. Sono sempre stato portavoce di una minoranza silenziosa che poi, nel tempo e ogni volta, diventava maggioranza e questo si è ripetuto anche con riferimento all’emergenza sanitaria. Insomma, sono “l’uno” che rappresenta coloro che non hanno voce, con tutta la solitudine che questo comporta. Anche nel caso della mia posizione in merito al Covid-19 sono stato ampiamente offeso e criticato. È comunque di tutta evidenza come sia stata fatta una propaganda errata che ha mostrato al mondo un’Italia contagiosa e malata quando, evidentemente, l’emergenza doveva essere semplicemente gestita facendo le giuste differenze da regione a regione. La chiusura indiscriminata ha portato danni al turismo incalcolabili che, ad oggi, continuiamo a pagare. Il turismo straniero è fermo, Piazza Navona è deserta come anche Ortigia è semivuota nonostante ospitasse un capolavoro di Caravaggio. Se vai in giro a dire che il paradiso della bellezza è anche l’inferno della malattia, le persone non vengono a visitare l’Italia. Per questo, ora, ci troviamo a ripartire da un turismo autoctono, slegato dal mero piacere ma che si deve trasformare in un viaggio di cultura e perché no, magari cominciando proprio da qui, dalla Tuscia, alla riscoperta di una bellezza che già conosciamo. Ora non bisogna più spaventare, non bisogna continuare a parlare di questo virus che ci ha reso folli, bisogna rassicurare e confortare puntando sulle nostre risorse, sulla nostra arte».
E che in Tuscia si inciampi letteralmente nella bellezza è poco ma sicuro tanto che, come ha puntualizzato Vittorio Sgarbi, il celebre Pasolini – anch’esso tra i protagonisti della splendida mostra di Palazzo Doebbing – ha deciso di vivere quelli che sarebbero stati gli ultimi anni della sua vita nella Torre di Chia, poco lontano da Sutri. Proprio lì, ricorda Sgarbi, Pasolini venne ritratto nudo in una dimensione così intima da sfiorare il misticismo, cristallizzato nei celebri scatti dell’allora giovanissimo Dino Pedriali, appena due giorni prima della morte del poeta. E proprio quando il tramonto cala su Sutri enfatizzandone i tipici e antichi colori terrosi, Vittorio Sgarbi, mecenate prima ancora che politico e ritrattista del contrasto, comincia a parlare dei giovani.
Che cosa diciamo ai giovani artisti?
«I giovani sono sostanzialmente abbandonati. Ho sempre pensato che un critico non debba mandare avanti la sua squadra ma debba farsi venire incontro la realtà dell’arte ed essere in qualche misura intercettato. Nella Biennale di Venezia sono riuscito a portare circa 4000 artisti, restituendola, di fatto, ai legittimi proprietari. Questa ampiamente criticata restituzione è passata attraverso un procedimento molto sofisticato: a tutti i più grandi intellettuali di mia conoscenza chiesi di segnalarmi il migliore artista, a loro dire, degli ultimi dieci anni. Così, non ho scelto io chi dovesse accedere alla Biennale ma gli artisti sono stati selezionati direttamente dagli addetti ai lavori, fornendo in questo modo un trampolino di lancio prestigioso a molti giovani pieni di talento e sottraendone altrettanti all’anonimato».
E così, la frescura della sera ha infine accompagnato la risposta alla mia ultima domanda: quali consigli Vittorio Sgarbi intendesse dare ai giovani; parole quelle dell’Onorevole che ho accolto e che ora scrivo con un misto tra sincero divertimento e profondo sbigottimento per la saggezza che nascondono: “io non do consigli, do solo cattivi esempi, per riprendere le parole di Francois de La Rochefoucauld, prima, e di Fabrizio De André, poi. Quando smetterò di dare il cattivo esempio, vorrà dire che sarò diventato vecchio”.
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