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Non dovevamo certo attendere l’Unicef per sapere cosa accade a casa nostra: Palermo è stata confermata regno indiscusso dei “neet”, l’acronimo inglese di “Neither in Employment nor in Education or Training”, oppure “Not in Education, Employment or Training” ad indicare la fascia d’età, solitamente al di sotto dei 30 anni, non impegnata nello studio, né nel lavoro né nella formazione. Perché in Italia abbiamo mutuato pure la bellissima usanza di chiamare le cose scomode con un nome diverso, preferibilmente inglese, così da confondere le acque e rendere tutto meno vergognoso. Allora provo a riformularlo io, così da renderlo comprensibile pure a chi l’inglese non lo mastica poi tanto: Palermo ed in generale la Sicilia, seguita da Calabria e Campania, si è confermata per quest’anno capitale degli ultimi della società, di coloro che vivono ai margini della legalità e di quelli a cui è stato rubato il futuro. Certo, l’Unicef forse non sa che al Centro e al Sud le componenti principali dell’economia sommersa (o black labor, per tornare agli anglicismi che piacciono tanto) sono la sotto-dichiarazione dei redditi, l’impiego irregolare e la dichiarazione di disabilità fasulle; probabilmente non sa neanche che, sempre nel Meridione, secondo alcuni studi, l’economia sommersa è tollerata perché considerata -udite udite!- uno strumento di mutuo sostegno tra il datore di lavoro e il lavoratore.
Ebbene, che la mentalità del Sud sia il principale nemico del Sud è fatto decisamente noto, come è pure risaputo che le beghe della pentola le conosce solo il coperchio (e il coperchio non è certo l’Unicef) ma credo sia giunta l’ora che qualcuno cominci a fare luce sul fenomeno, proponendo la propria esperienza diretta ed evitando i fronzoli dell’ars oratoria, caratteristici degli studi autorevoli. Di ragazzi meridionali, nella mia vita, ne ho conosciuti tanti. Sapete cosa li accomunava? La voglia di rivalsa. Certo, si trattava di ragazzi venuti a Roma per studiare e, quindi, fuori dalla fascia dei “neet” dell’Unicef, ma anche loro portavano in valigia il grande dramma del Sud: la terra che ti ha dato i natali è la stessa che ghermisce il tuo futuro e una delle soluzioni è quella di allontanarsi, se possibile. È proprio il “se possibile” che fa la differenza tra i “neet” e i miei colleghi, nonostante la rabbia sia la stessa.
Mentre nel secondo caso quella rabbia viene concentrata negli studi e nella voglia di dimostrare che il Meridione può ancora farcela, nel dominio dei “neet” la rabbia si tramuta nel livore rancoroso nei confronti di uno Stato che non vuole vedere la loro condizione e che viene percepito come nemico da combattere.
Quei ragazzi, inoccupati e senza titoli di studio, sono in realtà semplici eredi di una secolare tradizione di soldati dell’anti-Stato. Badate bene: non mi riferisco solo a quelli che, ancora in fasce, vengono cresciuti con il latte tirato dalle mammelle smunte di cosa nostra, della camorra o della ‘ndrangheta. Vivere nell’anti-Stato, più che una condizione di fatto, è una mentalità e, come tale, è sempre reazione e mai principio. Quelli che per l’Unicef sono dei banali “neet”, dei numeri, delle statistiche impersonali con cui riempire i titoli delle prime pagine sono, nella realtà, dei giovani nati orfani di futuro, cresciuti da famiglie che, ben prima di loro, erano anch’esse nate destinate ad occupare il posto degli “intoccabili” nella società.
A quei ragazzi nessuno ha mai insegnato che c’è una strada alternativa, semplicemente perché, chi li ha cresciuti, non ne era a conoscenza. Ed ecco che il figlio dell’evasore diventa evasore, la figlia della prostituta diventa prostituta, il primogenito del mafioso diventa mafioso. Quindi, mi domando e si domandano: a che serve studiare, a che serve trovarsi un impiego se il destino pare ineluttabile, risucchiato in una lunga stirpe di lassisti e di omertosi? Rispondono loro: a nulla. Sono stati abbandonati e tali si sentono, tanto vale provare campare di espedienti come hanno fatto prima di loro i padri, i nonni e gli avi. Rispondo io: a liberarsi. Studiare è un modo per liberarsi dalla schiavitù e, quella mentalità, è la più pericolosa forma di schiavitù perché non viene percepita come tale. “Mi dicono: «Se trovi uno schiavo addormentato, non svegliarlo, forse sta sognando la libertà». Ed io rispondo:“Se trovi uno schiavo addormentato, sveglialo e parlagli della libertà.”, per citare Gibran. Invece di perder tempo a postare, twittare e ricondividere le stime dell’Unicef per farci i titoloni sui giornali, i post con tanti “likes” su Facebook o la campagna elettorale, dovremmo tenere bene a mente le parole di Gibran e tentare di salvare quei “neet” che “neet” non sono.
Le Istituzioni dovrebbero farsi carico di questo compito e andare nella terra dei “neet” a svegliarli per spiegargli che il loro destino non è segnato e che un’alternativa c’è. Dovrebbero andare nelle scuole per parlare di quanto sia importante sapersi esprimere in un italiano corretto, perché il dialetto è radici e folklore ma la padronanza della propria lingua è potere. Dovrebbero istituire più borse di studio, così da permettere ai ragazzi meritevoli, ma con poche risorse, di studiare.
Dovrebbero avere il coraggio di andare in quelle “Terre di Nessuno” dove, per Nessuno, non si intende davvero “nessuno” quanto “Persone che fanno paura solo a nominarle” e metterci le radici di nuovi progetti, di aziende e di iniziative patrocinate dallo Stato. Dovrebbero parlare di Falcone, di Borsellino, di Impastato, di dalla Chiesa ma non come martiri, perché il martire viene immolato sull’altare di un ideale altro mentre la legalità non è “altro”, è tangibile e realizzabile. Lo Stato deve avere il coraggio di portare lo Stato nell’anti-Stato.
Questo potrebbe in effetti essere l’obiettivo del “rinnovato” Movimento 5 Stelle, riscopertosi partito di Governo. «È inutile pensare che abbiamo la stessa identità di dieci anni fa, non è così, siamo diversi, diversi dentro» ha detto un Beppe Grillo vestito da Joker nel video di apertura dal palco di Italia 5 Stelle, nell’Arena Flegrea a Napoli lo scorso sabato. Se questo è davvero l’animo dei pentastellati, quello di governare e trasformare il Paese, suggerisco loro di ripartire proprio dal Sud, implementando le infrastrutture e riqualificando quelle che ci sono già, puntando sull’agroalimentare e il “Made in Italy” piuttosto che sul reddito di cittadinanza il quale, stime alla mano, si è rivelato solo l’ennesimo involontario spunto per alimentare la mentalità lassista di cui sopra.
Noi, dal canto nostro, buttiamo all’aria le stime dell’Unicef, tanto simili alle signorotte che vanno a farsi le foto con i bambini del Terzo Mondo per avere qualcosa di sorprendente da mostrare alle sfarzose cene di rappresentanza del weekend.
Riscriviamo il destino di quegli ultimi che, ne sono certa, serbano immense ricchezze per questo Paese. Sapete chi lo sta già facendo? I miei colleghi di cui all’inizio del pezzo i quali, dopo aver studiato, tornano nelle loro terre per portare e diffondere quanto hanno appreso, consci della responsabilità che deriva dalla loro fortuna. Partiti con la rabbia, tornano a casa con il futuro nella valigia. I “neet”, quindi, lasciamoli alla carta stampata e noi teniamoci ben stretti questi novelli evangelizzatori del cambiamento perché solo con e grazie a loro possiamo ripartire. Per quanto mi riguarda, amici e colleghi, vi ringrazio: mi avete svegliata e, ora, non posso più riaddormentarmi.
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