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Luigi Di Maio

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Qualcuno ci ha definiti “choosy”; qualcun altro “bamboccioni”; sulla “fuga dei cervelli” c’hanno addirittura fatto un film. La realtà è che ho sempre avuto l’impressione che chi ha messo queste etichette sulla mia, sulla nostra, generazione, non l’abbia mai osservata con la dovuta attenzione. Mi sembra infatti che gli “etichettatori” di cui sopra abbiano sempre fatto volontariamente a meno di considerare la profonda rabbia e l’ancor più profonda insoddisfazione che ha sempre mosso i miei coetanei, a partire dalle molteplici manifestazioni studentesche le quali, spesso, mettevano seriamente in pericolo la nostra incolumità per finire alle numerosissime start up di “giovani” ormai celebri in tutto il mondo per aver ridato lustro al Made in Italy. Io so esattamente cosa chiedere al Governo che verrà: prima di tutto, dovete impegnarvi a conoscere “i giovani”.

Ed infatti, solo conoscendoci potrete finalmente ideare delle politiche giovanili efficaci. Prima di tutto, è essenziale che il nostro lavoro torni ad avere la dignità che gli spetta: tra stage, tirocinio, apprendistato, praticantato e chi più ne ha più ne metta, le nostre prestazioni e, perché no, la nostra professionalità, sono state nel tempo depauperate e declassate ad una moderno fenomeno di sfruttamento. E’ essenziale porre in essere degli interventi normativi tesi a circoscrivere il fenomeno di abuso del percorso formativo, perseguito tramite delle forme che sono troppo elastiche, grigie sia per quanto riguarda la formazione stessa sia il trattamento economico. E’ pure arrivata l’ora, a mio modesto avviso, di investire sull’istruzione. Un popolo di capre (chiedo perdono sin d’ora a Sgarbi per la violazione del diritto d’autore) può in effetti far comodo alla classe politica, ma è quantomeno deleteria per l’economia. Ed infatti, dei giovani colti sono dei giovani determinati e padroni degli strumenti che gli vengono forniti. Sono dei giovani che non si accontentano del primo posto di lavoro in nero che gli viene offerto per paura di non trovare altro impiego a causa di un diploma mai conseguito. Sono giovani liberi, in grado di produrre ricchezza, in grado di pagare le tasse e di essere “consumatori” secondo gli standard della microeconomia.

Un giovane sottopagato e magari neppure in regola ha un potere di acquisto compromesso (sicchè non può contribuire allo sviluppo delle imprese e, quindi, alla creazione di nuovi posti di lavoro) ma è pure un soggetto che risulta disoccupato, con una perdita in termini di versamenti contributivi, previdenziali e fiscali enorme (e quindi un’emorragia economica che sgorga diretta e zampillante dalle casse dello Stato). A dirla tutta, poi, il blocco del turnover ha fatto più danni dell’atomica. E’ pregevole il tentativo di porvi rimedio con la riapertura dei concorsi ma deve essere solo l’inizio. L’assunzione dei giovani non può essere concentrata tutta in un periodo di uno o due anni ma dilazionata con costanza nel tempo per permettere ai giovani di oggi, ma anche a quelli di domani, di ambire alle posizioni “in palio”. Non sarebbe equo, ed in realtà risulterebbe anche controproducente, permettere, per dire, alla classe ’93 di concorrere per un posto nell’INPS ed impedirlo invece ad un ragazzo nato nel 2000. Il motivo è presto detto: siamo tutti giovani, ma alcuni giovani sono più giovani di altri (in questo caso, penso Orwell non possa averne a male).

Un ragazzo del nuovo millennio è un giovane necessariamente più al passo coi tempi rispetto ad una ragazza del secolo scorso quale sono io. Hanno registrato i loro primi vagiti su Spotify e probabilmente usano male la maggior parte dei Social che hanno a disposizione, ma è pur vero che la comprensione delle nuove tecnologie e quindi della nuova dinamica economica e sociale che hanno loro, non la può avere chi, come me, è cresciuta con la TV via cavo e con i Lego. Da ultimo, il monito più importante: è il caso di sbloccare il ricambio generazionale anche nella politica. E non intendo inserire qualche giovane qui e là neanche fossimo una qualsiasi minoranza etnica in un qualsiasi film americano che vuole accaparrarsi il premio per il politically correct. Intendo darci le chiavi di questo Paese, sul serio. La vecchia classe politica è ormai impigrita dalla comodità delle poltrone. Noi invece, abbiamo la rabbia, la voglia di riscattarci che solo la scomodità del sellino di un motorino mentre porti le pizze a domicilio può garantire; o di uno sgabello quando fai la notte in corsia da specializzando; o della sedia incatenata davanti al computer quando fai il praticante. Ed ora, chi è choosy?


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