Burt Lancaster protagonista de Il Gattopardo di Luchino Visconti
7 minuti per la letturadi ELVIRA SCARNATI*
A Reggio Calabria si tiene, dopo 50 anni, una grande manifestazione nazionale indetta da Cgil, Cisl e Uil Calabria, al grido (e con l’hashtag) #FuturoAlLavoro i partecipanti si mobilitano a favore del Mezzogiorno, per parlare concretamente di lavoro e sviluppo del Sud, lanciando un ulteriore monito al governo, dopo le manifestazioni degli scorsi mesi.
Ho letto il manifesto della piattaforma unitaria e tra le parole chiave spiccano l’unione, la coesione e l’integrazione, da contrapporre alla divisione e alla separazione attuate dal governo su diversi fronti, tra cui emerge proprio quello riguardante la questione meridionale, con un Mezzogiorno sempre più isolato dal resto del Paese, in quanto ad economia, sviluppo, demografia e cultura.
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La manifestazione di oggi verte sull’unione e lo sviluppo dell’intero Paese, partendo proprio dal sud, dalla Calabria, regione fanalino di coda in troppe questioni, che potrebbe risollevarsi, come tutto il Mezzogiorno, e l’Italia, in generale, puntando su strumenti specifici, quali: una politica economica espansiva, che punti sugli investimenti in opere infrastrutturali, specialmente indirizzate a collegare un sud mal connesso e disconnesso; la prevenzione e la messa in sicurezza del territorio, in molti casi maltenuto e soggetto a vari rischi; l’investimento in servizi sociali essenziali, quali la sanità e l’istruzione; il contrasto alla criminalità e al lavoro irregolare.
Partire dal sud per riunire il paese.
Nino Baseotto, segretario confederale della Cgil con delega all’organizzazione, in una recente intervista ha affermato «tutto ciò lo traduciamo in fatti concreti, non lanciamo solo un messaggio antitetico ma una proposta alternativa».
Il punto, a mio parere, è proprio questo: ci saranno, finalmente, i fatti concreti o, per l’ennesima volta, assisteremo ai buoni propositi e alle “belle” parole?
Appena ho saputo della manifestazione, devo essere sincera, ho reagito con indifferenza, dando per scontato che si tratti del solito pretesto per far presente quali sono i mali del sud e quali possano essere le soluzioni, senza però, poi, mai attuarle.
Penso che noi giovani al sud siamo ormai troppo abituati a sentire parlare di ciò che andrebbe fatto, ma non abbiamo visto quasi mai opere concrete per far passi verso il futuro. Anzi, per la maggior parte dei giovani del sud, che di fatto il futuro lo rappresentano, i passi avanti possono essere fatti, ormai molto spesso, solo andando via dal proprio paese di origine, emigrando al nord o addirittura all’estero.
Sono una ragazza di 27 anni, nata e cresciuta a Cosenza, che per gli anni universitari si è trasferita, come tanti, al nord, in quella Milano che ad oggi è più meridionale che mai in quanto ad abitanti. Dopo la laurea sono tornata al sud, e non nego con molta difficoltà. Andare via mi ha permesso di vedere la mia città e il mio territorio con occhi diversi, pieni di affezione, forse più di prima, ma anche con un grande senso di rammarico, amarezza e rabbia perché le cose, per dirla come il Gattopardo, “cambiano per non cambiare mai”.
Non penso, ovviamente, di rappresentare tutti i giovani del sud, ma uno spaccato sì. Sono contenta che ci siano ancora miei coetanei che nella politica e nella gestione pubblica credono fermamente, che manifestano, lottano e sperano. Ma molti, forse la maggior parte, come me, sono semplicemente disillusi, stanchi, arrabbiati delle solite false promesse e delle sempre più marcate differenze tra il vivere al nord e al sud. Siamo stanchi delle parole non seguite da azioni, per cui credere fin in fondo nella partecipazione ad una manifestazione, seppur pienamente condivisibile nei propri obiettivi ed ideali, diventa difficile.
Personalmente, sono stanca e arrabbiata di non poter usufruire in Calabria degli stessi collegamenti e mezzi di trasporto di cui potevo usufruire, invece, quando vivevo in Lombardia.
Sono stanca e arrabbiata di dover affidarmi ad un servizio sanitario inadeguato, con ospedali al collasso e carenza di personale, che obbliga i malati a doversi spostare al nord per le cure mediche.
Sono stanca e arrabbiata di avere a che fare con enti pubblici rappresentati da personale spesso non qualificato, svogliato, inefficiente e permeato da una mentalità clientelare.
Sono stanca e arrabbiata di veder crollare il centro storico della mia città, ricco di patrimonio storico e culturale, quando al nord anche la più piccola risorsa viene valorizzata.
Sono stanca e arrabbiata verso coloro che hanno amministrato e amministrano, che sono stati incapaci di cambiare realmente le cose e che, ancora oggi, non fanno niente per cambiarle.
Sono stanca e arrabbiata di lottare, di provare, nel mio piccolo, a smuovere il territorio e la sua mentalità, andando però a sbattere contro quello stesso sistema che va cambiato, che è corrotto, che non ha per niente interesse a cambiare.
Sono amareggiata quando dico e penso che la mia generazione rispetto alle precedenti non farà passi avanti. Ogni generazione ha sempre registrato un progresso rispetto alla precedente, garantendo per sé e per i propri figli un futuro migliore. Ma spesso mi chiedo: come posso pensare di costruire un futuro migliore per me e per la famiglia che avrò in un posto in cui la stessa scuola, la base dell’intera società civile, ha carenze strutturali e formative?
Il problema è che molti giovani, come me, si sono abituati anche a questa stanchezza e alla rabbia, quasi consapevoli e arresi al fatto che nulla cambi affidandoci ad altri, ai soliti, seppur lottando.
Quindi manifestare che senso può avere?
La manifestazione di oggi vuole dare e avere risposte sul Mezzogiorno, vuole avviare un grande “Piano Marshall” per la trasformazione del sud e dell’Italia. Ma i vari attori saranno all’altezza, stavolta, di concretizzare le parole? Ci sarà uno schieramento comune e il gioco-forza congiunto di politica, imprenditoria e classe dirigente?
Io sinceramente più che dagli aiuti “dall’alto” penso che la differenza possa farla l’azione dei singoli, che pian piano, soprattutto facendo rete e schierandosi insieme, possano cambiare la mentalità del sud e farlo ripartire.
Io credo nei giovani e nell’iniziativa privata, nell’inventiva e nella propositività che abbiamo. Penso che il sud possa essere cambiato da tutti quei giovani partiti, che ritornando, apportano conoscenze, competenze e senso critico nuovi e costruttivi per il territorio.
Il sud può essere cambiato dai tanti giovani che si mettono in gioco, investono su sé stessi, fondando startup e attività imprenditoriali.
Il sud può essere cambiato da chi resiste, da chi si rimbocca le maniche e agisce concretamente ogni giorno, senza parlare, senza aspettare che siano altri a migliorare le cose.
Penso che ognuno di noi possa fare la differenza per cambiare il sud. E se il sud riparte, è davvero tutta l’Italia a beneficiarne.
Siamo sfiduciati e arrabbiati, ma a vent’anni si ha dentro di sè quella voglia congenita di voler cambiare il mondo, rivoluzionarlo, e credere di poterlo fare. Allora dateci la possibilità di farlo, non lasciateci illudere di nuovo. È necessario investire sul futuro, sui giovani, e se per farlo è necessario alzare la voce allora manifestiamo!
Quindi, se a primo acchito ho ritenuto la manifestazione del 22 come una delle tante, ora, riflettendoci, ho capito che può servire da monito per ricordare a noi stessi cosa si deve fare e cosa si può fare. Può servire da speranza, che è la miccia per far ripartire la voglia di fare, di cambiare, di lottare. Può servire da punto di incontro, da voce guida e da megafono per le singole voci di chi sta già facendo qualcosa per lo sviluppo del sud. Penso, quindi, che questa manifestazione debba essere vista anche quasi come un ultimatum, per chi sta al governo ma anche e soprattutto per chi vive il sud. Perché se in futuro le risposte e le azioni concrete dovessero mancare, il cambiamento deve partire direttamente da noi, dal nostro modo di pensare, dalla voglia di fare e dall’impegno per ripartire. Non si può essere Gattopardi per sempre.
* laureata alla Bocconi
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