Pier Paolo Pasolini
2 minuti per la letturaIl “cosa avrebbe fatto” è il tema fondante di un esercizio di ironia. È quello della storia ipotetica. E bravissima è stata Maria Elisabetta Alberti Casellati quando, nel suo articolo per il Corriere della Sera, a proposito di Pier Paolo Pasolini, segnala questo: “Cosa avrebbe scritto Pasolini – di Covid, di guerra, di economia – proprio lui che dalle colonne di questo giornale interveniva su tanti temi e nodi del nostro Paese”. Ironicissima e perfino spietata è stata il Presidente del Senato perché quegli “Scritti corsari” di Pasolini sono l’esatto contrario della prosa attuale di via Solferino. Ma di capovolgimenti, si sa, è fatta la nostra epoca.
Pasolini oggi non sarebbe, infatti, dove comodamente alloggiano Roberto Saviano, Beppe Severgnini e Massimo Gramellini. Probabilmente se ne starebbe con quello che al suo tempo veniva considerato il suo opposto – Giovannino Guareschi – e a proposito di quest’ultimo infine, a proposito dei “se” e dell’epica ipotetica, un ribaltamento da Mondo Piccolo, a questo punto, ci sarebbe di sicuro: il Compagno Don Camillo a Mosca, e così Peppone – fedele alla linea marxista leninista – in fuga dalla Russia.
Il Peppone comunista, avrebbe ormai il suo stato guida nell’indefinito Occidente delle transazioni bancarie e globali. Ed è il pieno contrappasso del nostro scontento questo del ribaltamento di tutti i nostri codici – e dei luoghi comuni – perché davvero il manesco parroco della Bassa creato dal genio di Giovannino Guareschi solo oltre gli Urali troverebbe oggi chiese piene di fedeli e vive di fede. Non starebbe dalla parte degli assassini di oggi ma resterebbe sempre e solo dalla parte di Cristo. Se ne starebbe in quelle chiese trasformate in granai al tempo in cui un Peppone in loden e borsalino si schierava coi carri armati dell’Armata Rossa contro la libertà d’Ungheria.
A Peppone – ritrovatosi liberal, senza più la Colomba della Pace disegnata dal tovarich Picasso – non resterebbe altro che il tacchino del Giorno del Ringraziamento americano, e altra internazionale non potrebbe disporre che la globalizzazione. Don Camillo, invece, forte di quel di più proprio dello Spirito Russo, troverebbe quell’idea di stare al mondo ancora una volta dostoevskiana: “Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità”. Giusta formula di contrappasso degna di Guareschi, degna – soprattutto – di Pasolini. Giustamente ricordato – dal presidente Casellati – per quel che era, per quel che resta nel sempre della nostra memoria: “Usignolo della Chiesa Cattolica”.
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