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Camera e Senato nominano i loro 4 consiglieri nel Cda, la Rai resta in mano ai partiti politici ma la partita non è terminata


Il cavallo della Rai non diventa farfalla e resta con le briglie saldamente in mano ai partiti politici. L’opposizione di spacca ma la partita non è finita. Camera e Senato hanno nominato ieri i quattro consiglieri di propria competenza. Antonio Marano e Alessandro di Majo il Senato, Federica Frangi e Roberto Natale la Camera. Il ministro dell’Economia e della Finanza Giancarlo Giorgetti ha comunicato alla Presidenza del Consiglio dei ministri i nomi di Giampaolo Rossi e di Simona Agnes quali componenti del consiglio di amministrazione Rai designati dall’esecutivo. Completa il Cda il rappresentante eletto dai dipendenti, Davide Di Pietro.

Ora l’attenzione si sposta sulla Commissione di Vigilanza Rai, dove Simona Agnes (Forza Italia) per diventare presidente dovrà ottenere il voto da due terzi dei suoi componenti e ne mancano quattro oltre quelli del centrodestra.

La partita del vertice resta aperta. Il destino della Rai e del servizio pubblico apertissimo. Legato non tanto al vertice quanto alle prossime decisioni sul canone per il 2025 e poi sul rinnovo della concessione di servizio pubblico nel 2027. La giornata di ieri ha registrato la spaccatura dell’opposizione. Cinquestelle e Alleanza Verdi Sinistra hanno trovato un accordo politico per designare due dei sette membri del Consiglio di amministrazione, Roberto Natale e Alessandro di Majo, consigliere uscente.

Ma un accordo informale deve essere stato trovato anche con la maggioranza di centro-destra. Frangi (Fratelli d’Italia) e Marano (Lega) sono nominati rispettivamente con 174 e 97 voti, più del doppio di quelli presi da Natale e Di Majo. Come dire che il centrodestra, con Pd, Italia dei Valori e Azione assenti, avrebbe avuto i voti per fare il pieno dei consiglieri, diversificando su due nomi i propri voti, ma sarebbe stato politicamente ingestibile. La maggioranza del nuovo vertice è comunque saldamente in mano al centrodestra, con quattro consiglieri su sette (con solo due donne in Cda, nessuna dell’opposizione). E, soprattutto, con Rossi che sarà l’amministratore delegato con pieni poteri per le deleghe decise dalla legge 220 del 2015 (approvata con il governo Renzi!) e il consiglio depotenziato da quella stessa legge.

Se Simona Agnes non avrà i voti necessari in Vigilanza, sarà Antonio Marano a fare le funzioni di presidente in quanto consigliere anziano. E la Rai resterà senza presidente, fino a quando non si raggiungerà una difficile intesa su un nome, che dovrà comunque essere tra quelli che hanno presentato il proprio curriculum a Camera e Senato. Qui si propone un altro interrogativo sul vertice nominato ieri. I curriculum non sono mai stati esaminati nel merito, come del resto nelle precedenti votazioni. I nomi dei nuovi consiglieri sono usciti fuori, anche stavolta, dal cilindro dei prestigiatori politici e poi votati dal Parlamento.

Camera e Senato non hanno mai nominato un comitato per esaminare, verificare e valutare i titoli presenti nei curriculum. Questa procedura è oggetto di un ricorso al Tar da parte di alcuni candidati. Il Tar Lazio si pronuncerà nel merito il 23 del mese prossimo. Questa scelta dei vertici decisa dai partiti senza seguire la legge, confligge in modo evidente con il nuovo Regolamento europeo EFMA, Europea Media Freedom Act, che chiede modalità trasparenti nella scelta degli amministratori dei servizi pubblici. Il Regolamento è già in vigore ma si applica, per la parte che riguarda i vertici Rai, dall’agosto 2025. Per adesso si sono incardinati i vari progetti di legge sulla tv pubblica presentati in Parlamento per adeguare le norme nazionali alla nuove norme europee. Ma i tempi sono tutti da stabilire. Se si approvasse una legge con nuove regole, che fine farà il vertice designato ieri?

Il Pd è il grande sconfitto della vicenda delle nomine? Certo, rimane fuori dal vertice del servizio pubblico, e perderà posizioni nelle successive nomine del nuovo Cda, seguendo quanto deciso da tutti i partiti dell’opposizione con il famoso “patto della birra”: niente nomine senza una riforma della governance Rai. La scelta di Elly Schlein non è però una novità assoluta per il Pd. Nell’ottobre 2010 Pierluigi Bersani, nell’aprire un seminario sulla riforma del sistema radiotelevisivo, disse: “Abbiamo affermato con forza la nostra indisponibilità a nominare un nuovo consiglio di amministrazione con la legge Gasparri, poiché mette il servizio pubblico di fatto sotto il controllo del governo”.

Resta da capire, tra l’altro, se sarà confermata la carica di direttore generale, non prevista dalla legge 220, che ne prescrive la sostituzione con l’amministratore delegato, e a chi sarà assegnata. Il prossimo amministratore delegato, Giampaolo Rossi, è stato fino ad oggi direttore generale e ora si attua la “staffetta” con l’ad uscente, Roberto Sergio.
Per la Rai le sfide che attendono il nuovo vertice sono decisive per lo sviluppo dell’assetto industriale e della competitività del gruppo, a partire dal canone, il più basso in Europa. Nel 2023 erano 45 euro per ogni residente attivo in Italia contro i 141 della Germania e i 94 del Regno Unito. Nel 2024 l’importo è stato ridotto da 90 a 70 euro. Di questi 70 euro solo 58,6 vanno alla Rai. Per bilanciare tale riduzione è stato riconosciuto con la legge di bilancio, solo per il 2024, un contributo di 413 milioni.

Cosa si deciderà sul canone per il 2025 che sta arrivando? E gli ascolti, con la Rai che, nell’intera giornata, ha subito nel 2023 il sorpasso di Mediaset, più vistoso in alcune regioni meridionali? Sul piatto vi è anche la cessione di una quota di RaiWay, che controlla la rete di impianti. Necessaria ad attuare il Piano industriale, se il nuovo vertice non ne approverà un altro.

Tale operazione si scontra con il progetto di fusione RaiWay-EI Tower, caro al Governo. Il tutto mentre uno tsunami chiamato Intelligenza Artificiale sta modificando alla radice procedure e professionalità nell’ideazione e realizzazione dei contenuti multimediali. Nel 2027, alla fine del mandato del Cda nominato in questi giorni, se arriverà al termine del suo mandato, scade la concessione decennale alla Rai per il servizio pubblico. Sarà il passaggio del Capo di Buona Speranza per l’azienda di Viale Mazzini: una farfalla potrebbe superarlo più facilmente di un cavallo morente.


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