La sede Rai di Viale Mazzini
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La Rai al centro del dibattito politico con la maggioranza che sostiene il governo Meloni in cerca di due accordi: uno sul nuovo vertice e l’altro sul canone
Vertice e canone. Sono due gli accordi da trovare, per quanto riguarda la Rai, nel mondo politico e, in particolare, nella maggioranza di centrodestra. Sul nuovo vertice la nomina di quattro dei sette componenti da parte di Camera e Senato è stata spostata, ancora una volta, dal 12 al 26 settembre. Rimane in carica, fino ad allora, salvo nuovi rinvii per mancanza di accordo politici, l’attuale Cda, che ha perso il suo presidente, Marinella Soldi, dimissionaria, e il consigliere nominato dai dipendenti, Riccardo Laganà, deceduto, che sarà sostituito da Davide Di Pietro, già nominato dai dipendenti per entrare nel nuovo Cda. A fare funzioni di presidente, quale consigliere anziano, è Roberto Sergio, attuale amministratore delegato.
Le ipotesi che si avanzano per la soluzione politica partono da qui. Si è fatta prima l’ipotesi che il Governo, cui spetta la nomina di due consiglieri, designasse una “figura di garanzia” che potesse essere votata da almeno due esponenti dell’opposizione per ottenere i due terzi dei voti in commissione di Vigilanza richieste dalla legge. Una figura come quella di Giovanni Minoli. Ma le opposizioni hanno preso in un vertice una posizione molto chiara: prima delle nomine occorre cambiare le norme della legge 220 del 28 dicembre 2015, con il centrosinistra al Governo, che danno all’esecutivo un peso preponderante sull’azienda radiotelevisiva concessionaria (sino al 2027) , con la scelta di un amministratore “delegato” dalla legge stessa e non degli organi societari della Rai.
I NODI DELLA RAI: SI PARTE DAL NUOVO VERTICE PER ARRIVARE AL CANONE
Posizione non facile da mantenere, perché lascia la Rai gestita da un vertice in prorogatio, ma con pieni poteri e perché, con questi rapporti di forza in Parlamento sembra difficile che il centrodestra non abbia in mano il pallino del gioco. Un’altra ipotesi in ballo prevede addirittura la mancata nomina del presidente, con la Rai che avrebbe ancora quale presidente il consigliere anziano. Una soluzione che contrasta con l’attuale legge e un atto di guerra verso le opposizioni.
Una Rai sotto il controllo dell’esecutivo, con il Tesoro al 99,95% del capitale e la nomina dell’amministratore delegato, dotato di pieni poteri, contrasta con precedenti decisioni della Corte Costituzionale ma soprattutto, appare del tutto opposta a quanto richiesto dal Regolamento Europeo Media Freedom Act, già in vigore ma che si attua , per l’articolo 5, dall’agosto 2025, quando si richiederà un servizio pubblico “indipendente” dal punto di vista editoriale e funzionale. Se la maggioranza nominerà il 26 di questo mese i nuovi consiglieri, dopo meno di un anno si dovrebbe comunque modificare la legge con la quale li hanno eletti.
IL NODO DELL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE RENZI DEL 2015
Ma si è veramente seguito quanto richiesto dalla legge Renzi del 2015? Quest’ultima prevede che per la nomina dei quattro consiglieri nominati dal Parlamento si presentino curriculum a Camera o Senato quale condizione per poter essere votati dalla due Camere. Ma i vertici vengono scelti, in passato come per il prossimo, da un accordo politico extraparlamentare, poi ratificato dalle Camere. Tanto che alcuni dei candidati, Stefano Rolando, Nino Rizzo Nervo, Giulio Enea Vigevani, e Patrizio Rossano, senza alcun appoggio dai partiti ma con il sostegno di diverse associazioni e alcuni costituzionalisti, con Roberto Zaccaria, professore di diritto costituzionale ed ex presidente della Rai, a coordinare l’iniziativa. hanno intrapreso una battaglia giuridica per chiedere la sospensiva dell’iter delle nomine: il Tar Lazio ha fissato la data del 23 ottobre per la discussione di merito sul loro ricorso, quando le nomine (forse) saranno già avvenute.
Obiettivo minimo: quello di far valutare la cinquantina di curriculum ricevuti dalle Camere a chi dovrà votare i quattro nuovi consiglieri, seguendo quanto previsto dalla legge. Cosa non fatta già nel 2018 e nel 2021: si vota quanto deciso dalla maggioranza fuori dal Parlamento. Obiettivo più ambizioso: una sospensione della procedura con rinvio alla Consulta, o alla Corte di giustizia europea, delle norme e delle modalità di nomina del vertice Rai.
RISOLTO IL PROBLEMA DEL VERTICE RESTANO IL CANONE E LE FONTI DI FINANZIAMENTO DELLA RAI
Lo scontro politico, però, non riguarda solo il vertice. Il canone Rai è stato abbassato da 90 a 70 euro solo per il 2024, con un finanziamento straordinario ad hoc di 420 milioni per compensazione dalla fiscalità generale, di dubbia legittimità perché modifica la natura del canone, che diventa in parte discrezionale da parte del potere politico, E per il 2025? Niente di deciso, si tratta. Il futuro del servizio pubblico e della concessionaria Rai è legato alle risorse di cui può disporre per stare sul mercato e onorare – non sempre- quanto richiesto dal contratto di servizio con il Ministero del Made in Italy.
Senza saper su quali risorse contare il nuovo vertice non potrà approvare un Piano industriale attuabile, né potrà fare gli investimenti richiesti dalle nuove tecnologie digitali, come il 5G Broadcasting, quando il segnale delle emittenti televisive, offrendo contenuti diversi dai palinsesti digitali terrestri, potrà arrivare direttamente a smartphone e cellulari, dotati di apposito chip, nella principali aree urbane, soprattutto del Centro Nord. In quel momento, forse, qualcuno riproporrà il pagamento del canone da parte dei possessori di un telefono cellulare, come già ipotizzato a suo tempo dall’attuale Ministro dell’Economia. Così molti italiani potrebbero tornare a vedere in salotto la classica tv digitale terrestre. Con poche speranze di vedere i contenuti di un servizio pubblico davvero autonomo e indipendente e di un sistema televisivo realmente concorrenziale.
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