Giorgia Meloni
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Valanga di emendamenti al Senato sul Premierato voluto da Meloni: le opposizioni ne presentano 3.000, Schlein: «Squallido baratto»
È il grande giorno del premierato, «la madre di tutte le riforme». A mezzogiorno si viene a sapere che in aula, al Senato, sono 3.000 gli emendamenti al disegno di legge Casellati. Alleanza Verdi e sinistra deposita 1.400 modifiche, altre 1.300 arrivano dal Pd, mentre M5S ne presenta 180. I restanti sono ripartiti tra Azione (30), che rilancia la proposta del modello tedesco, mentre da Italia Viva ne giungono 14, con cui si ripropone il modello del sindaco d’Italia.
E proprio nei minuti in cui si apre la discussione generale a Palazzo Madama, il gruppo Pd viene convocato per un’assemblea a cui partecipa la segretaria Schlein. Negli stessi attimi Salvini attacca le opposizioni: «Fanno il loro mestiere. Ci sta che la sinistra provi a bloccare qualsiasi riforma portata avanti dal governo».
GLI ANNUNCI DI ELLY
Intanto in aula il dibattito si accende. Vengono respinte con unico voto le pregiudiziali al premierato presentato da M5S, Pd e Avs. I voti contrari sono 104, quelli a favore 54, gli astenuti sono due. Seduta sospesa, a questo punto: riprenderà dopo il vertice Pd da cui uscirà una posizione netta. «È uno squallido baratto tra premierato e autonomia – si sgola Schlein – Vi chiedo di usare i vostri corpi e le vostre voci per fare muro contro questo tentativo». Infine l’annuncio della leader Pd: «Il 2 giugno faremo una grande manifestazione a difesa dell’Italia e dell’Europa, contro il premierato e l’autonomia, perché noi siamo contro la disintegrazione dell’Italia e dell’Europa».
Tutto questo accade nel giorno in cui si tiene a Montecitorio un convegno sul premierato promosso dalle Fondazioni Craxi e De Gasperi. Il titolo: “Dialogo sul premierato”. C’è una platea variegata alla Sala Regina di Montecitorio: da Tarek Ben Ammar a Iva Zanicchi, passando per Filippo Magnini, esponenti dell’impresa, dello sport e dello spettacolo. E ancora: ecco Michele Placido, Pupo («Voglio un premier forte, molto forte»), Amedeo Minghi.
Presenti in prima fila Giorgia Meloni e il padrone di casa Lorenzo Fontana. Eppure i taccuini dei cronisti sono tutti concentrati su cosa dirà Angelino Alfano, vecchia conoscenza del centrodestra, oggi presidente della Fondazione De Gasperi.
ALFANO AL CONVEGNO
L’ex ministro della Giustizia parte da lontano: «Ci hanno provato tutti a riformare la Costituzione e le leggi elettorali: ci provò De Gasperi nel 1953 con la legge elettorale e poi, negli anni Ottanta, si aprì una grande stagione di tentativi di riforme con Craxi e poi con De Mita, e tutti hanno provato a riformare la Costituzione. Ciò vuol dire che il problema esiste da sempre, ovvero dalla prima legislatura repubblicana».
Inoltre, ricorda Alfano, «De Gasperi nel 1953 provò a promuovere una legge che dava un premio di maggioranza alla coalizione vincitrice delle elezioni. Quest’uomo, che aveva come interesse supremo l’unità nazionale, avvertì subito, pochi anni dopo la Costituzione, l’esigenza di intervenire su un punto che comprese immediatamente essere un punto cruciale per una democrazia: il tema delle decisioni. Ecco perché è necessario restituire lo scettro a quel sovrano a cui la Costituzione riconosce la titolarità: il popolo».
Ma è evidente che tutti aspettano le conclusioni della premier Giorgia Meloni, seduta in prima fila. La premier ha fatto un investimento sul premierato, definendolo «la madre di tutte le riforme». C’è chi sostiene che l’investimento sia ad alto rischio, anche perché i precedenti non giocano a favore dell’inquilina di Palazzo Chigi.
PREMIERATO, LE GARANZIE DI GIORGIA MELONI
Meloni mette in chiaro una serie di concetti davanti la platea del convegno. «Chi ritiene di essere depositario esclusivo della Costituzione ne mette, per paradosso, in crisi la funzione unificante. Se la Costituzione è di tutti, ed è di tutti, la sua interpretazione non può privilegiare una sola cultura politica o un solo punto di vista»: è questo il primo messaggio che sembra rivolgere alla sinistra pronta a mobilitare i comitati del No, così da spostare la sfida in un referendum.
E ancora: «Penso sia un errore approcciare questi temi con un’impostazione ideologica, soprattutto legata a interessi contingenti, che è l’orientamento prevalente in questo dibattito, ma sarebbe un errore da parte della politica indietreggiare e gettare la spugna di fronte a questo atteggiamento».
Da qui la leader di FdI pone l’accento sugli obiettivi della riforma: «Garantire il diritto dei cittadini di scegliere da chi farsi governare, e mettere fine alla stagione dei governi tecnici, dei ribaltoni, alla stagione delle maggioranze arcobaleno che nessuna corrispondenza hanno con il voto popolare». Il secondo obiettivo della riforma del premierato, dice Meloni, «è che chi viene scelto dal popolo per governare possa farlo con un orizzonte di legislatura, possa avere il tempo per portare avanti il programma con cui si è presentato ai cittadini: tempo e stabilità sono condizioni determinanti per costruire qualsiasi strategia e quindi per restituire credibilità alle istituzioni di fronte ai cittadini e a questa nazione con i nostri interlocutori internazionali».
Giorgia Meloni garantisce che i poteri del capo dello Stato resteranno inalterati e che il premierato eliminerà la sovrapposizione dei ruoli.
Infine, una frecciata all’opposizione: «Mi sono interrogata molte volte su come i miei avversari politici userebbero questa riforma se fossero al governo, ma questo non mi spaventa e non mi preoccupa. Sono convinta della bontà della riforma. La sto facendo per chiunque arrivi domani».
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