Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella
4 minuti per la letturaQuando Sergio Mattarella entra nella sala che ospita l’assemblea di Confindustria parte un lungo applauso. Tutti in piedi ad accogliere il Capo dello Stato, il cui arrivo segue quello della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Mattarella saluta le autorità presenti e gli ex presidenti degli imprenditori seduti in prima fila. Si può cominciare. Ecco, l’inno nazionale. L’inquilino del Colle ascolta attentamente il numero uno degli industriali, Carlo Bonomi. Poi tocca a lui prendere la parola. Mattarella si dice preoccupato per i tempi che verranno, soprattutto dal punto di vista economico, e infatti invia un messaggio rivolto alla politica: non si può affrontare l’eventuale crisi economica lasciandosi andare a paure irrazionali, né tantomeno queste ultime si possono cavalcare pensando di massimizzare i consensi.
In estrema sintesi, una crisi di economia può sfociare in una deriva autoritaria. Mattarella a questo punto cita Luigi Einaudi e in particolare il messaggio che lasciava il 31 marzo del 1947 nelle considerazioni finali da governatore della Bankitalia: «È necessario che gli italiani non credano di dover la salvezza a nessun altro fuorché se stessi. Oggi diremmo: a noi stessi e agli altri popoli coi quali abbiamo deciso di raccoglierci nell’Unione Europea».
E ancora: «Un’economia in salute contribuisce al bene del sistema democratico e della libertà, alla coesione della nostra comunità». Il Capo dello stato cita anche un discorso di Roosevelt in cui disse che «l’unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa» per poi osservare che anche adesso così come allora si deve «richiamare il legame, per quanto possa a molti apparire scontato, tra economia e democrazia». Tradotto la democrazia va salvaguardata in tutti i modi e il modo per farlo è adoperarsi per lo sviluppo economico del Paese, evitando che si acuiscano le disuguaglianze sociali.
Mattarella fa riferimento alla storia, alla Grande Depressione a cavallo fra le due guerre: «Si era nell’ambito della Grande depressione economica del 1929 – ricorda Mattarella – e si fu capaci di passare al New Deal, al ‘nuovo patto’ che vide gli Stati Uniti affrontare i drammatici problemi economici e occupazionali che li avevano devastati, assumendo la leadership del mondo libero. Oggi siamo in una condizione, fortunatamente, ben diversa, che ci conduce, comunque, a richiamare il legame, per quanto possa a molti apparire scontato, tra economia e democrazia». E la democrazia, osserva Mattarella, «si incarna nei mille luoghi di lavoro e studio. Nel lavoro e nella riflessione dei corpi sociali intermedi della Repubblica. Nel riconoscimento dei diritti sociali».
E ancora: «Nella libertà d’intraprendere dei cittadini. Prima di ogni altro fattore, a muovere il progresso è, infatti, il ‘capitale sociale’ di cui un Paese dispone. Un capitale che non possiamo impoverire. È una responsabilità che interpella anche il mondo delle imprese: troppi giovani cercano lavoro all’estero, per la povertà delle offerte retributive disponibili».
Alla fine, l’impressione è che il Capo dello Stato sia seriamentepreoccupato: «La nostra comunità è adeguatamente resiliente?», si domanda. «È sufficientemente desiderosa di guardare al futuro?». Ragion per cui vanno evitate le concentrazioni di potere. È qui il riferimento nemmeno tanto velato sembra essere rivolto al governo che intende modificare la Costituzione concentrando i poteri sul presidente del Consiglio: «Qual è un principio fondamentale della democrazia? Evitare la concentrazione del potere, a garanzia della libertà di tutti. Vale per le istituzioni. Vale per le imprese, a proposito delle quali possiamo parlare di concorrenza all’interno di un mercato libero.
E la lotta ai monopoli ne rappresenta capitolo importante». Insoma, il discorso di Mattarella – applaudito in più passaggi, con alcune smorfie da parte di qualche membro dell’esecutivo – rivolge messaggi all’esecutivo: «Basta paure, esasperazioni, fatui irenismi – li chiama – comportamenti ispirati a sentimenti puramente congiunturali».
Ma anche al mondo economico quando sottolinea che la libertà non deve ledere i diritti civili. Ad esempio, i giovani vanno pagati in maniera adeguata altrimenti emigrano: «Troppi giovani cercano lavoro all’estero, per la povertà delle offerte retributive disponibili». Ed è questa «una responsabilità che interpella anche il mondo delle imprese». E poi c’è il no al dirigismo: «L’art. 41 scandisce che l’iniziativa economica privata è libera”. “Cosa significa libera? Significa che non occorrono più ‘regie patenti’, come ai tempi medievali, per esercitare una professione, un’attività, un’impresa.
Significa che la Repubblica ha spostato dal Sovrano al cittadino il potere di scegliere, di decidere. Significa evadere dal dirigismo economico e dal protezionismo tipico delle esperienze autoritarie». E tra le righe si cela certamente un invito al governo a non chiudersi su se stesso e a risolvere le questioni che ha davanti, insieme all’Europa.
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