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Nessuno si aspettava che l’autonomia differenziata, riforma voluta fortemente dai leghisti, si potesse trasformare in un vero e proprio giallo.
Perché quello che è successo martedì pomeriggio non solo ha lasciato tutti di sasso e ma ha aperto un’indagine all’interno della maggioranza. Al punto da far dire in Transatlantico a un leghista: «Ci vorrebbe Maigret».
Riassunto delle puntate precedenti: martedì pomeriggio il Servizio Bilancio del Senato pubblica uno studio mediante un post su LinkedIn che titola così: «Il Costo dell’autonomia differenziata». Il documento passa in rassegna tutte le criticità del disegno di legge Calderoli, pone dubbi sugli effetti dal punto di vista finanziario, e si interroga sul ridimensionamento del bilancio statale, a vantaggio di alcune aree del Paese. Insomma, il report riporta tutto quello che le opposizioni dicono da mesi. Non a caso, un minuto dopo la pubblicazione del documento, la notizia fa il giro dei palazzi e viene subito cavalcata da chi siede all’opposizione. «Tutto questo dimostra che le nostre preoccupazioni, le nostre critiche e le nostre contrarietà erano fondate» attacca il capogruppo Pd al Senato, Francesco Boccia. In serie esplodono tutti: dai democrat ai pentastellati, fino ad arrivare ai calendiani.
Il testo è vero o non è vero? Doveva essere pubblicato oppure no? Compare e scompare da LinkedIn. O almeno riportano così le cronache. L’imbarazzo è tale che viene subito detto che si tratta di una bozza non verificata, pubblicata sui social ufficiali «per errore». Passano novanta minuti e lo studio ricompare. Anzi, è sempre stato lì. Il giallo si infittisce, insomma. Si cerca la mano del colpevole. Oltretutto, il post è accompagnato da like di uno stimato tecnico interno: si tratta del professore Roberto Loiero, già capo ufficio stampa del Servizio Bilancio dello Stato, oggi consigliere economico della premier Meloni. E allora l’errore da chi è stato commesso?
Inizia l’indagine. L’ufficio stampa precisa: il testo non doveva essere pubblicato, perché si tratta di «una bozza provvisoria, non ancora verificata». Seguono le scuse «con la stampa e con gli utenti per il disservizio arrecato». Tutto questo infiamma il clima all’interno della maggioranza. I leghisti arrivano a sospettare dei meloniani. Raccontano che il ministro Roberto Calderoli, autore della riforma, avrebbe subito chiamato il vicepremier Salvini: «Matteo, è una manovra politica degli alleati per affossare il nostro progetto». Nei corridoi di Montecitorio si vocifera che Calderoli sarebbe pronto a dimettersi. Fake news! Allo stesso tempo, non è un mistero che il partito di Giorgia Meloni non ami l’autonomia differenziata a firma Calderoli. Le truppe di Salvini sono infuriate. «Mi sembra un colpo basso da parte di chi ha tentato in qualche modo di screditare l’operato», incalza il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo. «Quando ci sono le ‘manine’ – aggiunge usando la metafora cui si ricorre di solito per interventi nell’ombra – è però difficile capire di chi siano. D’altra parte, che non ci avessero messo il tappeto rosso era abbastanza chiaro».
Che lo stato di tensione sia alle stelle lo si comprende dalle parole del vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli di Fd’I: «Fratelli d’Italia non ha mai usato le manine, le nostre mani sono sempre ben in evidenza. Da parte nostra nessun pregiudizio sul processo federativo che deve andare avanti insieme al rafforzamento delle istituzioni centrali, con l’elezione diretta del Capo dello Stato o del premier, e prima ancora il completamento dell’iter per dare alla capitale d’Italia quei poteri speciali che hanno Berlino, Parigi, Londra e le altre capitali europee. In questo modo non ci sarebbe certo pregiudizio per l’unità nazionale, anzi, con la garanzia dei livelli essenziali di prestazioni per le regioni più deboli, la riforma può essere davvero un acceleratore per l’Italia del futuro». Insomma, le parti restano distanti.
E a infuocare ancor più il clima ci pensa proprio Roberto Calderoli: «Il Servizio del Bilancio del Senato ha realizzato un dossier sul disegno di legge recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata regionale, nel quale vengono evidenziate criticità non oggettive, ma meramente ipotetiche». E ancora: «la verifica dei profili di onerosità finanziaria e della connessa copertura spetta istituzionalmente alla Ragioneria generale dello Stato, che nella sua relazione tecnica già approvata «certifica che non vi sono rischi per il bilancio del Paese». Insomma, secondo Calderoli, «a fronte di un processo che, come la costituzione prevede, riconosce e promuove le autonomie, era ed è prevedibile che i palazzi e gli interessi del centralismo cercassero di intromettersi, utilizzando qualsiasi tipo di strumento». Non usa la parola «complotto» ma di fatto la evoca. E così le opposizioni riesplodono. Boccia del Pd definisce «inaccettabile» l’attacco del ministro leghista che «dovrebbe ritrattare subito».
Perché, insiste Boccia, «è grave che un ministro della Repubblica sollevi dubbi sull’Ufficio di Bilancio del Senato, un organismo terzo che ha sempre dimostrato competenza e che ha sempre fornito contributi conoscitivi preziosi sui diversi provvedimenti». Alla fine il giallo resta. Restano i sospetti leghisti, perché siamo alla vigilia delle audizioni sulla riforma, che dovrebbero partire la prossima settimana in commissione. E resta la preoccupazione di Fd’I che da ora in avanti dovrà vedersela con una Lega che potrebbe mettersi di traverso su un dossier caro a Giorgia Meloni: il presidenzialismo.
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