Enrico Letta
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Dismessi gli inni sacri dell’identità storica, i partiti hanno trovato rifugio nella musica profana. A Bettino Craxi piaceva “Viva l’Italia” di Francesco De Gregori. Silvio Berlusconi scese in campo con i jingle. Walter Veltroni rispose con “La canzone popolare” di Ivano Fossati. Pierluigi Bersani se la cavò con un verso di una canzone di Vasco Rossi: “Voglio trovare un senso a questa storia’’. Una scelta rischiosa poiché il verso successivo (“Anche se questa storia un senso non ce l’ha’’) non era incoraggiante per un partito politico erede di grandi tradizioni.
In effetti, per la stessa ammissione del suo gruppo dirigente, pare che questo senso il Pd non l’abbia ancora trovato o lo abbia perduto per strada, a soli 16 anni dalla sua fondazione. Fatto sta che al Nazareno è in corso uno psicodramma collettivo come se si trattasse di un club di ex alcolisti.
IL PASTROCCHIO SUL VOTO ON LINE
Se poi vogliamo metterla in musica, oggi i dem potrebbero parodiare l’arrangiamento di una vecchia canzone di Fred Buscaglione: «Se c’è qualcosa che mi fa tanto male è il voto digitale». Infatti – in vista dei prossimi appuntamenti (primarie interne ed esterne, congresso) da cui il Pd dovrebbe rinascere, come Roma dopo l’incendio e come diceva Ettore Petrolini nel ruolo di Nerone: «Più bella e più superba che pria» – il tema che ha dominato il dibattito per settimane è stato quello delle modalità delle votazioni sui quattro candidati alla segreteria: i soliti vecchi gazebo aperti a tutti i volonterosi oppure la fredda tecnologia del voto digitale?
Poi, dopo il rinvio di alcune ore della seduta della Direzione incaricata di risolvere la questione si è trovata una soluzione che potrebbe andare bene per un’assemblea di condominio: potranno votare on line coloro che per validi motivi non saranno in grado di presentarsi ai gazebo.
Sembra comunque ovvio che, a livello territoriale, si dovranno trovare delle modalità di verifica. Speriamo che non si renda necessario presentare certificati medici o altre documentazioni inoppugnabili, tra cui il certificato Isee che ormai è richiesto ad ogni pie’ sospinto insieme alla carta d’identità. Senza immischiarsi in faccende altrui (peraltro complicate come quelle del Nazareno) a noi pareva che il problema delle votazioni fosse regolamentato, risolto, collaudato perché praticato di continuo.
In qualunque altro partito sarebbe bastato ricordare a un’eventuale Elly Schlein (è un caso di scuola, perché non è detto che altri partiti l’avrebbero presa sul serio) che – come dice Marcello nel film “8 ½” del grande Federico Fellini – “il regolamento è il regolamento’’. Invece no. Ormai in quel partito – dove può candidarsi alla segreteria una persona neppure iscritta, anzi leader di una formazione concorrente nel medesimo “campo largo’’ – è sufficiente lanciare un’idea apparentemente “più di sinistra’’ per seminare lo sgomento e mettere in imbarazzo chi si azzarda a dire di no.
Ce ne siamo accorti tutti, anche seguendo le cronache sui giornali e i dibattiti nei talk show: Stefano Bonaccini era contrario al voto on line? Per forza – si diceva con un tono di disapprovazione – Teme una maggiore partecipazione che avvantaggi la sua principale avversaria, la quale, invece, non pensa al suo interesse, ma – come è brava lei! – ad allargare i confini delle adesioni.
IL GOL SBAGLIATO A PORTA VUOTA
Mentre il Pd era intento a osservare il proprio ombelico, il governo si è trovato diverse volte in difficoltà: dall’ultima raffica di mitra sul Mes (prima della resa) alla polemica con la nuova politica monetaria della Bce; dal riemergere del pericolo di una nuova epidemia che riproponga i soliti dissensi sulle misure di prevenzione fino alle critiche al decreto Piantedosi sull’immigrazione e le Ong, costrette a sbarcare il più lontano possibile allo scopo di effettuare meno interventi di salvataggio nel Canale di Sicilia.
Poi il governo ha subìto il rimpallo delle accise sui carburanti (di cui non aveva prorogato le riduzioni disposte dal governo Draghi) mettendo in allarme l’opinione pubblica ormai abituata a lamentarsi di tutto e a ricevere sconti, aiuti e ristori di ogni tipo.
Il commento di Enrico Letta, durante la riunione della Direzione è più che sufficiente per poter giudicare la distrazione del Pd sulla politica: «Ebbene, proprio oggi, con il governo che faceva un errore del genere» sul tema dei carburanti e delle accise «noi avevamo la possibilità di fare goal a porta vuota, ma non lo abbiamo fatto perché stavamo discutendo di regole. So benissimo quanto le regole interne siano importanti, ma tra di noi dobbiamo essere netti nel dirci che dobbiamo capire sempre i tempi e le opportunità della discussione».
Non sembra il caso che il segretario del Partito democratico evochi la questione dei tempi, visto che le date dei grandi appuntamenti sono ancora incerte e “flessibili” per via di un fatto noto e scontato: che si vota in Lombardia e Lazio e che non è opportuno predisporsi a un percorso di risalita dopo aver incassato due sconfitte molto probabili, viste le forze in campo a sostegno dei diversi candidati in quelle regioni.
In sostanza, ci troviamo in presenza di eventi e di omissioni del Pd che hanno lasciato basiti gli osservatori: «Un partito che si occupa per settimane della data delle primarie, essendosi accorto in articulo mortis che il congresso – ha scritto Antonio Polito sul Corriere della sera – che doveva essere di rinascita rischia di essere di sconfitta, per la coincidenza con le elezioni in Lombardia e Lazio. Così come è sorprendente (e sospetta) l’ingenua scoperta, a un mese dalla consultazione nei gazebo, delle virtù democratiche del voto on line, sette anni dopo il lancio della “piattaforma “Rousseau” (i cui titolari si sono persino dichiarati disponibili a fornire un aiuto sul piano tecnico, ndr)».
A nessuno, però, è venuto il dubbio che la condizione del Pd sia più grave. Non si tratta solo di confusione organizzativa, che per un partito sarebbe comunque un fatto molto grave. Può essere invece che il Pd si sottragga all’iniziativa politica perché non saprebbe che cosa dire; perché ogni frazione o aree “vicine” a qualche autoproclamato leader direbbe la sua.
LA LINEA POLITICA CHE NON C’È
Prendiamo proprio il caso delle accise sui carburanti. Non c’è dubbio che molti dirigenti del Pd siano consapevoli che anche Mario Draghi non avrebbe prorogato lo sconto sulle accise e che gli argomenti sostenuti da governo non sono del tutto infondati.
Altri, invece, sarebbero sicuramente pronti a salire sulle barricate e alimentare la protesta dei distributori. Il governo è in difficoltà e si barcamena tra fare marcia indietro o trovare dei palliativi che potrebbero rendere ancora più seria la situazione.
Che cosa dovrebbe fare, in tale contesto, un grande partito di opposizione? Soffiare sul fuoco? Ma questa è già la linea di condotta del M5S. Venire in aiuto di un governo in difficoltà? Non è il mestiere della opposizione e non aiuterebbe una corretta dialettica democratica.
La risposta corretta a queste domande è un’altra: un partito che vuole tornare al potere (ma il Partito democratico crede che le sue disgrazie derivino dall’aver governato) presenta una proposta seria e articolata al Paese e la sostiene in tutte le sedi.
Per riuscire a realizzare tale obiettivo, però, sarebbe necessario elaborare una linea politica, suggerire delle soluzioni che siano sostenibili sul piano economico e sociale. Riuscire a svolgere un ruolo siffatto significherebbe rinverdire l’esperienza del Pci, un partito che si vantava di governare dall’opposizione.
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