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I ministri Salvini e Calderoli

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È stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno, a sottolineare le «ingiustizie», le “ferite” al «diritto all’uguaglianza” che condizionano la vita di venti milioni di meridionali per via «delle differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari» tra il Nord e il Mezzogiorno. Un monito non esplicito, ma chiaro quello del capo dello Stato di fronte al “disegno” dell’autonomia differenziata su cui la Lega al governo spinge ora più che mai, e che il ministro degli Affari regionali e dell’Autonomia, Roberto Calderoli, ha messo nero su bianco nella nuova bozza del ddl trasmesso a Palazzo Chigi: 11 articoli in cui si definisce la cornice –  ovvero principi, procedure e tempi – delle intese tra lo Stato e le Regioni sul trasferimento delle competenze sulle 23 materie accordato dalla Costituzione. 

Il ministro confida in un via libera del Consiglio dei ministri a strettissimo giro, per passare subito dopo in Conferenza Unificata e arrivare entro gennaio all’ok alla proposta di legge. Ne ha parlato ieri a Catanzaro, tappa inaugurale del tour delle Regioni intrapreso dal ministro “per parlare di autonomia differenziata e degli effetti benefici che può portare, da nord a sud” (così ha raccontato su twitter la sua mission). 

La nuova bozza avrebbe dovuto silenziare il coro di critiche sollevato dalla vecchia versione, con il risultato tuttavia di alzarne il volume. 

E le ragioni ci sono tutte. Partiamo dai Lep: i livelli essenziali delle prestazioni – per la scuola, la sanità, i trasporti, giusto per citare qualcuno dei servizi che la Costituzione chiede siano garantiti sull’intero territorio nazionale – sono considerati “condicio sine qua non” per l’attribuzione “di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, ma si ritiene sufficiente che siano “determinati”, non che siano garantiti e attuati. 

Nella bozza si considerano i Lep “nucleo invalicabile” per rendere effettivi i diritti sociali e civili, erogare le prestazioni, “assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali”, favorire una ripartizione equa ed efficiente delle risorse del Pnrr e per “il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”. Ma ci si accontenta di determinarli – con uno o più decreti del presidente del Consiglio dei ministri -. Quanto alle risorse per il finanziamento dei Lep, si rimanda alla Legge di Bilancio. 

Intanto si prevede che fino alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard legati ai Lep, le risorse necessarie all’esercizio delle funzioni relative alle diverse materie saranno determinate in base “al criterio della spesa destinata a carattere permanente, fissa e ricorrente” sostenuta dallo Stato nelle Regioni per garantire i servizi pubblici. Tradotto: si farà riferimento alla spesa storica che finora ha perpetrato il divario nei diritti di cittadinanza, a beneficio delle regioni del Nord. 

La partita che condurrà le Regioni a una maggiore autonomia lascia il Parlamento in panchina: in campo ci sono le Regioni, il presidente del Consiglio e il Cdm. Alle Camere, tramite la Commissione parlamentare per le questioni regionali, spetta un parere sullo schema di intesa preliminare tra Stato e Regioni approvato dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per gli Affari regionali. E il compito di dire sì o no al disegno di legge cui è legata l’intesa. 

Intanto anche la nuova “formula” dell’autonomia desta più di qualche preoccupazione a Sud. «Il ministro Calderoli dopo molti anni di suo impegno politico sul piano nazionale, per la prima volta in veste istituzionale in Calabria, ma solo per portare in dote ai calabresi il frutto amaro di una secessione forzata», afferma il segretario generale della Uil Calabria, Santo Biondo. Il ministro getta acqua sul fuoco: «L’autonomia differenziata non deve fare paura perché innanzi tutto chi non dovesse richiederla avrà la garanzia di avere le medesime risorse ed un meccanismo perequativo che è in grado di superare le sperequazioni esistenti precedentemente», dice incontrando i giornalisti con il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto. Il ministro vede «grosse potenzialità proprio per le caratteristiche di diversità che l’Italia e quindi delle potenzialità che a livello di ciascuna regione può determinare un incremento del Pil, dell’occupazione e del benessere economico dei cittadini. Ciascuna regione deve essere messa in condizione di dare il massimo». Chiama in causa «il centralismo» cui attribuisce la responsabilità del deficit e della sperequazione che si vuole superare. I Lep saranno definiti, dice, e sulla spesa storica annuncia «un’operazione trasparenza per verificare come i soldi sono stati spesi in passato, se bene o se male, e che fine abbiano fatto». «Dall’analisi della spesa storica verranno delle sorprese se qualcuno ha ricevuto di meno in passato credo che quello gli vada compensato», assicura. 

«Ho fatto spesso l’esempio del treno con tre vagoni che devono arrivare in stazione insieme: il superamento del concetto di spesa storica, la perequazione e l’autonomia differenziata. L’autonomia può esserci dopo che hanno tagliato il traguardo gli altri due vagoni», l’avvertenza del presidente Occhiuto che sottolinea poi che per la Calabria l’autonomia può portare anche occasioni di sviluppo, come sul fronte energetico: la regione, evidenzia, «produce importanti quantità di energia da fonti rinnovabili, circa il 42%, se aggiungiamo quella ricavata dall’idroelettrico, abbiamo una produzione superiore al nostro fabbisogno. Eppure i calabresi pagano le stesse bollette dei lombardi».

Il Pd annuncia barricate. Calderoli, afferma il sentore Francesco Boccia, «torna sul luogo del delitto che ha già fatto tanti disastri dal 2009 in poi. L’esaltazione della spesa storica. Inspiegabile e ingiustificabile è il comportamento degli alleati della Lega che torna al punto di partenza di 15 anni fa: spesa storica che cristallizza le differenze, residui fiscali che non sono citati ma emergono nell’impianto del ddl e, quel che appare più grave, è la totale umiliazione del ruolo del Parlamento sia per la definizione dei Lep che devono garantire diritti universali come scuola, sanità, trasporti e assistenza, sia nelle intese».


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