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Giorgia Meloni ed Enrico Letta

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A leggere i programmi elettorali si finisce per dare ragione ad Enrico Letta. Al di là dei testi comuni alle diverse coalizioni, che rappresentano una sorta di minimo comune multiplo e che per questo motivo sono molto generici (si veda il programma del centro destra), le vere differenze culturali, strategiche e politiche si trovano nei programmi di Fratelli d’Italia e del Pd. E non si tratta solo di alcuni aspetti, ma di una visione ben più complessa.

POLITICA INTERNAZIONALE, EUROPA, ALLEANZE

Il punto in comune nei programmi elettorali è importante (e non è condiviso dalle forze politiche estreme sia di destra che di sinistra): l’Italia conferma le storiche alleanze occidentali e l’appartenenza alla Nato. È solidale con l’Ucraina, a cui si impegna a fornire anche assistenza militare. Ciascuno dei due partiti si rende garante di questi valori nei rispettivi schieramenti.

Per quanto riguarda il rapporto con l’Unione europea iniziano le distinzioni. Il partito di Giorgia Meloni ha abbandonato le istanze antieuropeiste; ma si scoprono nei paragrafi riguardanti l’Europa, il PNRR e la globalizzazione posizioni non esplicitamente critiche come nei testi del 2018, ma misure di presunto miglioramento, revisione e correzione, ambigue, ma aperte a tutte le prospettive, nel senso che taluni elementi potrebbero determinare occasioni di polemiche e dissensi nel momento in cui vengono in discussione le nuove regole comuni dopo il “liberi tutti’’ durante la pandemia. Questi aspetti, poi, si traducono in misure di sostanziale protezionismo sul piano delle politiche interne col pretesto della difesa dei “campioni’’ nazionali dalla colonizzazione straniera.

Ecco, per esempio, alcuni degli obiettivi “eretici’’ di Fdi: “Difesa della nostra sovranità nazionale. Ridiscussione di tutti i trattati UE a partire dal fiscal compact e dall’euro. Più politica e meno burocrazia in Europa. Clausola di supremazia in Costituzione per bloccare accordi e direttive nocivi per l’Italia a cominciare dalla Bolkestein e dal Regolamento di Dublino”. Ciò mentre il Pd, nel suo programma, assume il PNRR e la prospettiva di una maggiore integrazione europea come tratto distintivo della sua azione politica. “Più Europa – è scritto nel testo del Pd – perché tutto questo deve avvenire nel contesto di un’Unione Europea. I prossimi anni saranno cruciali per il destino dell’Europa. Chiamarsi fuori da queste scelte, da questo orizzonte ideale, significa mettere a rischio il futuro degli italiani, i nostri risparmi, i nostri posti di lavoro’’.

Come si vede si tratta di passaggi molto delicati e significativi, perché le pulsioni sovranpopuliste non sono del tutto assenti tra gli alleati del Pd, mentre quelle di FdI non sono posizioni incoerenti sul piano internazionale. La destra trumpiana, una volta tornata al potere, sarebbe la principale avversaria dell’Europa unita. Non si dimentichi che nel 2018 l’Amministrazione Trump salutò con favore l’alleanza giallo-verde, fino a quando non iniziarono i giri di valzer sulla Via della Seta. Non si dimentichi neppure il caso della Brexit. La Gran Bretagna ha lasciato l’Unione, ma non i tradizionali vincoli internazionali.

In sostanza, il quadro geopolitico potrebbe cambiare nel giro di pochi anni, ivi compreso il rapporto degli Usa con la Russia di Putin. Così un governo di centrodestra a conduzione Meloni potrebbe fare comodo nel nuovo scenario politico che potrebbe determinarsi, dopo un radicale cambiamento dell’Amministrazione Usa.

LE RIFORME COSTITUZIONALI NEI PROGRAMMI ELETTORALI

Innanzi tutto va chiarito che il centrodestra non propone il “presidenzialismo’’, ma l’elezione diretta a suffragio universale del Capo dello Stato. Si tratta di modelli istituzionali radicalmente diversi, almeno sul piano teorico. In un regime presidenzialista, il presidente è eletto dal popolo ed è contemporaneamente capo dello Stato e della Amministrazione, in una logica accentuata di divisione dei poteri.

Inoltre, l’elezione diretta del Capo dello Stato è assolutamente compatibile nel contesto di un regime parlamentare. Tanto che è vigente nella maggioranza dei Paesi europei, dove non è previsto un regime monarchico: Austria, Irlanda, Islanda, Portogallo, Finlandia, Francia (sia pure con la caratteristica del semi-presidenzialismo), senza contare i nuovi Stati dell’Europa centro-orientale come Polonia, Romania, Bulgaria ed altri. Laddove questo tipo di elezione non è contemplata di solito vige un regime monarchico.

In Francia la V Repubblica è regolata da un regime semi-presidenziale in cui il presidente eletto è anche capo dell’esecutivo. Se può indurre giudizi più sereni nell’attuale dibattito è il caso di ricordare che nel testo di legge costituzionale presentato il 4 novembre 1997 dalla Commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema – il punto più alto a cui arrivò l’intesa tra i partiti – era prevista l’elezione popolare diretta a suffragio universale – eventualmente su due turni – del Capo dello Stato. Ed è quel testo che è stato scopiazzato da FdI quando nella legislatura ora chiusa ha presentato un PdL di rango costituzionale per la elezione diretta del capo dello Stato (cosa ben diversa dal presidenzialismo).

È consigliabile, allora, che – senza dare troppo peso alle gaffe di Silvio Berlusconi – il Pd la prenda più bassa nella polemica istituzionale, anche perché è l’erede degli esecutori della disastrosa riforma del Titolo V e il complice della sciagurata mutilazione del Parlamento. Ed è il partito che varò la riforma Boschi (bocciata dagli elettori), che a mio avviso prendeva a calci nel sedere la Carta.

DIRITTI CIVILI E IMMIGRAZIONE

Su questa tematica si affrontano le visioni di società più differenti nei programmi elettorali. Ecco alcuni punti divisivi secondo il Pd.

• Prima di tutto, lo Ius soli che preveda l’ottenimento della cittadinanza per i bambini nati in Italia da genitori stranieri in possesso del permesso di soggiorno e per i minorenni entrati nel nostro Paese entro il dodicesimo anno di età, purché abbiano frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli di studio o seguito percorsi di istruzione e formazione professionale.

• La parità di genere, in particolare nelle retribuzioni.

• La lotta all’omofobia. Nella violenza e nella discriminazione di stampo omofobico e transfobico la peculiarità dell’orientamento sessuale della vittima, ovvero l’essere omosessuale oppure l’essere transessuale, così come l’essere donna nella violenza sessuale contro queste ultime, non sono neutrali rispetto al reato, del quale costituiscono il fondamento.

E poi il compiacimento per il lavoro svolto dal Pd. Da unioni civili e coppie di fatto al biotestamento, dal Dopo di noi alla legge sugli orfani delle vittime di reati domestici, sono molti i provvedimenti che hanno visto la luce grazie alla passione e alla volontà delle donne e degli uomini del Partito Democratico.

Vi è la convinzione che il partito di Giorgia Meloni, al di là del genericismo dell’Accordo quadro comune per l’Italia, si rifaccia al programma del 2018 ritenuto omofobico, favorevole al sostegno della famiglia tradizionale. Queste osservazioni nascono dal programma del 2018 e dall’intervento di Meloni al Convegno di Vox. Vi è comunque l’impressione che anche su questo terreno prevarrà la linea della cautela; nel programma sono presenti indicazioni per superare la crisi demografica che attanaglia il nostro Paese: “un piano organico di sostegno anche attraverso l’aumento di tutele per i genitori lavoratori e l’introduzione del quoziente familiare”.

Quanto all’immigrazione clandestina permane la linea dura: “Fermiamo i barconi al largo delle coste della  Libia, in accordo con le autorità locali prevedendo la creazione di hotspot sulle coste degli stati di partenza e che permettano di vagliare unicamente le richieste di asilo effettivamente fondate”.

Regole rigide anche per chi arriva nel nostro “chi giunge in Italia non deve più essere considerato un clandestino fino a prova contraria. E infine “contrasto alle ONG le cui attività vanno sanzionate, le navi sequestrate e l’equipaggio denunciato per favoreggiamento all’immigrazione clandestina traffico di esseri umani”.

I PROGRAMMI ELETTORALI: LAVORO, WELFARE E FISCO

In tale materia si potrebbe affermare che le proposte sono più o meno le stesse con un florilegio di incentivi per le nuove assunzioni, detassazioni, decontribuzioni sorrette sovente da una maggiore rigidità nelle regole del lavoro. Come se fosse possibile realizzare una politica caratterizzata da una maggiore stabilità a spese dello Stato. Da segnalare che nei programmi elettorali del centrodestra non si avverte il piagnisteo assordante che emana dai testi del centro sinistra e sinistra quando vengono affrontati i problemi del lavoro. Il Partito Democratico propone l’adozione di un salario minimo garantito per tutti.

È una proposta presente anche nei programmi del centrodestra, che invece si distinguono sul reddito di cittadinanza che – diversamente dal Pd – vorrebbero abolire o ridimensionare. Il lavoro temporaneo, se viene usato in maniera reiterata, deve costare di più, attraverso una buonuscita compensatoria, in maniera proporzionale alla durata cumulata dei contratti temporanei che ha avuto.

Per quanto riguarda le pensioni, sono in campo proposte diverse. La destra si compatta sui mille euro mensili per i trattamenti minimi e per il superamento della riforma Fornero (anche se l’abrogazione drastica viene richiesta solo dalla Lega). Per il fisco è in corso l’antica polemica sulla flat tax un tema sul quale la posizione di FdI è molto prudente.


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