Matteo Salvini e Giuseppe Conte
6 minuti per la letturaNon immaginavamo di dover vivere quasi cinque anni all’interno di un impianto istituzionale così lontano da ogni logica accettabile del governo del Paese. Il Paese in modo quasi plebiscitario aveva riconosciuto una forza dominante ad un Movimento estraneo ad ogni logica e ad ogni storia di tipo “politico”, un Paese che aveva consentito ad un Movimento di superare la soglia del 33% dell’intero Parlamento, un Paese che aveva anche riconosciuto al Centro Destra un adeguato consenso elettorale. Il Partito Democratico aveva anche tentato di offrire al Movimento 5 Stelle possibili forme di collaborazione per costruire insieme una coalizione capace di dare stabilità al governo del Paese; un tentativo già sperimentato nel 2013 e poi naufragato.
Nel 2018, quindi, dopo assurde e inconcepibili altalene del leghista Matteo Salvini, altalene davvero patetiche e incomprensibili, si pervenne ad una coalizione davvero anomala non perché si aggregavano due schieramenti portatori di storie e di principi completamente distanti ma perché lo schieramento di Matteo Salvini aveva raggiunto risultati elettorali positivi grazie all’apporto sostanziale dei voti di Forza Italia e di Fratelli d’Italia. Non ce ne siamo forse mai resi conto abbastanza ma nel 2018 è nata una coalizione completamente estranea da ogni correlazione tra consenso elettorale e formazione di governo. È come se il Parlamento avesse interpretato, non riuscendoci, un possibile assetto politico non coerente però al mandato elettorale.
Né possiamo dimenticare che la mediocrità dei due schieramenti esplose quando sia l’onorevole Di Maio che il senatore Salvini chiesero l’impeachment del Presidente della Repubblica; cioè, purtroppo, la nostra memoria storica è corta e, quindi, facilmente abbiamo dimenticato che qualora il Presidente Mattarella si fosse dimesso avremmo dovuto, per la prima volta nella storia della Repubblica, fare ricorso al Presidente della Corte Costituzionale.
Con grande sofferenza, quindi, nacque questa, ripeto ancora una volta, anomala esperienza di Governo. Io non voglio ricordare la serie di incomprensioni esplose dopo appena un mese dall’inizio del Governo giallo – verde, mi limiterò solo ad indicare le rilevanti distanze nel comparto delle infrastrutture quali, solo a titolo di esempio, la realizzazione della Trans Adriatic Pipeline (TAP), la realizzazione delle tratte ferroviarie ad alta velocità Milano-Genova (Terzo valico dei Giovi) e Verona-Vicenza-Padova, la realizzazione del nuovo tunnel ferroviario Torino-Lione; gli scontri su tali scelte e sulla possibilità di dare attuazione alle stesse fu talmente virulenta da portare Salvini ad uscire dal Governo anche perché, forse molti lo hanno dimenticato, due rappresentanti della Lega l’Onorevole Edoardo Rixi ed il Senatore Armando Siri, rispettivamente Vice Ministro e Sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, non erano stati minimamente coinvolti nelle attività dello stesso Dicastero.
Poi dopo questa scontata crisi, dopo questa quasi obbligata rottura che senza dubbio mise in evidenza la limitata dimensione di chi governava i due schieramenti, assistemmo ad un altro quasi analogo epilogo questa volta tra due forze politiche che non avevano e non hanno, nel loro DNA, le condizioni per dare vita a coalizioni governative. E, ancora una volta, la nostra memoria storica corta ci ha fatto dimenticare la nomina del Direttore Carlo Cottarelli a Presidente del Consiglio, ci ha fatto dimenticare che il Direttore Cottarelli era tornato, dopo una settimana, dal Presidente Mattarella con una lista di Ministri per garantire un Governo al Paese e per poter poi andare a nuove elezioni, e, sempre la memoria storica corta, ci ha fatto dimenticare il blocco di tale soluzione a valle di una telefonata dei leader del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle con la quale chiesero al Presidente della Repubblica prima 24 ore poi 72 ore di tempo per dare vita ad un Governo Giallo-Rosa.
La sofferenza con cui nasceva questa nuova coalizione testimoniava, sin dall’inizio, il ricorso ad un obbligato accordo pur di evitare una verifica elettorale che avrebbe fatto vincere una destra di nuovo unita e pronta a governare il Paese. Poi, anche in questo caso, è esploso, in modo evidente, la chiara incapacità di uno schieramento come quello del Movimento 5 Stelle di essere all’interno del Governo e, anche in questo caso, la paura di un arrivo del Centro Destra nel Governo del Paese, ha portato di nuovo le forze presenti nel Paramento, escluse quelle di Fratelli d’Italia, a dare vita ad un Governo capace di assicurare almeno le condizioni necessarie per non perdere le risorse previste nel PNRR.
Ho voluto fare questa sintetica cronistoria per testimoniare, ancora una volta, quanto sia stata negativa la esperienza di questa Legislatura; una esperienza che ha cercato in tutti i modi di rincorrere soluzioni, di rincorrere coalizioni e aggregazioni tutte prive di una motivata linea strategica comune. E scopriamo, almeno nel comparto delle infrastrutture, due gravi risultati: il mancato avvio di nuove opere e l’assenza di interventi nel Mezzogiorno del Paese.
In realtà in oltre quattro anni non si è fatto altro che dare continuità al vuoto di attività, al vuoto di decisioni procedurali come ad esempio quella del Codice Appalti, ed anche negli ultimi 17 mesi sotto la guida del Presidente Draghi, sia il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti che la Ministra del Mezzogiorno sono stati attenti a fornire gli impegni per un futuro che purtroppo non si è mai trasformato in presente e mai ha dato vita a ciò che nel comparto delle infrastrutture è l’unico indicatore concreto e cioè l’apertura dei cantieri.
Ora tocca a noi evitare che si riproduca una Legislatura sommatoria di schieramenti incapaci ed inadatti; io sono sempre dell’avviso che dieci incapaci messi insieme non danno origine ad un soggetto capace e, quindi, spero che questa triste e lunga esperienza di incapaci, questa lunga esperienza che neppure una grande personalità come Mario Draghi abbia potuto incidere sulla reale crescita, offra al Paese, a noi elettori una convinta presa d’atto di cosa debba essere il Paese nei prossimi quattro anni, sì in quelli che allo stato sono gli anni in cui dovremo attuare le riforme e le opere del PNRR e sarà bene che le forze politiche ci raccontino cosa intendano fare sia di ciò che ormai sarà il Piano B, sia di ciò che saranno le procedure per utilizzare le risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2014-2020 e 2021-2027, sia di ciò che non si è fatto finora nel Mezzogiorno e, soprattutto, i vari schieramenti politici dovrebbero tutti impegnarsi ad istituire un unico Dicastero per l’attuazione del PNRR e delle azioni strategiche nel Mezzogiorno del Paese. Un unico Dicastero che, nel rispetto di quanto chiesto più volte dalla Unione Europea, disponga di una unica governance.
Gli altri Dicasteri come quello delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili o quello del Mezzogiorno hanno svolto solo una attività mediatica senza garantire, come detto prima, nessun avanzamento misurabile di ciò che erano le aspettative del Paese e, quindi, è bene non restino ancora organismi delegati alla attuazione di finalità e di obiettivi che, come ho ribadito più volte, dovrebbero addirittura rientrare nelle competenze della Presidenza del Consiglio. Ripeto ora tocca a noi evitare che possa riverificarsi l’assurdo incontro tra realtà politiche che perseguano la loro crescita e non quella del Paese.
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