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La notte in cui i Cinquestelle "abolirono la povertà"

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La maggioranza non si sa se esista e soprattutto perché esista. Draghi sembra essersi stancato di lasciar correre sulle intemerate dei partiti incapaci di sottrarsi alle loro ansie elettoralistiche. La situazione internazionale si sta complicando e abbiamo bisogno di non perdere credibilità nei confronti dell’Europa e del mondo. Già la scelta di pubblicizzare alla buona un piano di pace per l’Ucraina non negoziato precedentemente con gli alleati non ci ha portato bene: l’unico che ha fatto mostra di prenderlo in considerazione è stato Putin, probabilmente perché ha visto che non trovava seguito, molti nostri partner hanno fatto sapere con fastidio di averlo appreso dai giornali anziché dai canali diplomatici (come dire: così fanno i dilettanti …).

Può essere considerato un episodio tutto sommato modesto, ma testimonia di un clima poco sereno. L’ulteriore botta è arrivata quando dopo un articolato e saggio intervento di Gentiloni che cercava di richiamare il nostro paese al dovere della serietà si è avuta la reazione isterica di Salvini che non contento di aver detto che noi non ci facciamo dettare la linea da nessuno ha aggiunto la volgarità di invitare la UE ad attaccarsi al tram.

A questi politici andrebbe ricordato che se non si volevano “lezioni”, cioè condizionamenti bastava non chiedere 200 miliardi fra regali e prestiti all’Europa. Allora si sarebbe visto come potevamo reggere sul mercato internazionale dei finanziamenti.

Ci si deve domandare perché Salvini si comporti in questa maniera. La risposta corrente è che lo fa per contenere il declino di consensi che trasmigrano verso il partito di Giorgia Meloni, ma ci sembra solo un quarto della questione, visto che nonostante queste trovate da tempo non si inverte il trend di crescita di FdI a scapito della Lega, anche se poi non è che Meloni e soci propongano ricette lontane dal banale populismo. Pensiamo piuttosto che il leader leghista si sia convinto di avere un potere di condizionamento sul governo, visto che non lo si vuol far saltare in questo momento. Allora lui minaccia e tuona, qualcosina gli viene dato, ed è bravissimo a presentarsi come il vincitore di un braccio di ferro.

Conta sul fatto di far saltare i nervi al PD, che ritiene destinato in ogni caso a soccombere: se minaccia la Lega, ma non porta a conclusione le minacce fa la figura della tigre di carta; se porta in fondo la critica e fa saltare il governo si carica della responsabilità di una decisione poco apprezzata sicché poi Salvini lo accuserà di essere quello che sfascia la maggioranza.

Può sembrare una furbata, ma in realtà è un modesto e mal realizzato gioco da prestigiatore di serie C. Il leader leghista sta scherzando col fuoco, perché non ha davanti il problema di vincere le elezioni, ma quello di non finire alla testa di un paese ridotto in condizioni più che difficili. È vero che l’alternativa di centrosinistra diventa sempre più debole per la crisi ormai evidente dei Cinque Stelle, ed è una crisi che il PD ha favorito non avendo avuto il coraggio di costringere quel partito a fare scelte decisive un paio di anni fa. Aver consentito il governo del Conte 2, avergli lasciato mano libera in una serie di pastrocchi tipo il taglio a capocchia dei parlamentari, non avere puntato subito al momento della caduta di quel governo a regolare un po’ di conti, ha illuso i pentastellati di poter rimanere non solo arbitri del gioco, ma di poterlo fare dietro un leader inventato da un complesso di coincidenze.

Tuttavia il centrodestra non è in grado di condurre il paese nelle condizioni a dir poco complesse che ci troveremo ad affrontare. A prescindere da ogni altra considerazione, si troverebbe guardato con sospetto tanto dai vertici europei che contano, quanto da quelli americani. Se spera in un ritorno di Trump sugli allori si illude, perché poi neppure quello è particolarmente interessato a tenerlo in piedi al prezzo di una situazione economica che continuerebbe a far perno sul mantenimento dei più scassati corporativismi.

Il mondo sta cambiando e bisognerebbe rendersene conto. Il governo di semi unità nazionale era stato varato con l’idea che in fondo si trattasse più che altro di mettere sotto controllo l’epidemia e poi di avviare una ripresa economica facilitata dall’iniezione dei 200 miliardi del Next Generation UE. Per questa operazione andava benissimo il “tecnico” Draghi che si caricava delle fatiche dell’avvio di queste operazioni e poi lasciava spazio al ritorno dei vecchi partiti a gestire un quadro rimesso in sesto. Invece non è andata così, perché intanto non è certissimo che la pandemia si possa considerare un capitolo chiuso, ma soprattutto perché i fondi europei non sono una Befana da spendere come si vuole e perché l’avventurismo di Putin ha destabilizzato gli equilibri internazionali.

In queste condizioni bisogna trovare il coraggio di parlare al paese un linguaggio di verità, è necessario farla finita con populismi e demagogie, si deve mettere in campo una classe dirigente credibile con alla testa una guida della caratura internazionale necessaria. È a queste cose che pensano i partiti nel preparare l’appuntamento elettorale che si sta avvicinando sempre più? Non ci pare davvero e allora si deve concludere che non si è capito in che acque ci toccherà navigare.

Draghi si è stufato, speriamo, di essere omologato a quelli che non hanno capito tutto questo e di conseguenza prevediamo che farà di nuovo “whatever it takes”. Con gradualità e senza inutili rodomontate, perché non è nel suo stile e sa che non servono le impennate. Ma lo farà.


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