Enrico Letta e, sullo sfondo, il premier Mario Draghi
5 minuti per la letturaSi è appena conclusa una settimana agitata per il Governo Draghi, sconfitto per ben quattro volte in Parlamento a causa delle fibrillazioni dei diversi partiti della maggioranza su vari dossier. Il ritorno precipitoso da Bruxelles a Roma, per un colloquio urgente con Mattarella, mostra l’irritazione del premier per questi incidenti di percorso. Ma la verità è che Draghi e i partiti appaiono costretti, da qui alla fine della legislatura, a un abbraccio indissolubile. Lo sanno tutti: il governo Draghi è l’ultimo di questa legislatura. Una legislatura che ha provato tutte le formule possibili: prima la gialloverde, poi la giallorossa, infine quella dell’unità nazionale. Con il M5s, gruppo di maggioranza relativa, a fare sempre da perno. Necessario per dare vita a qualsiasi governo. Ma anche per la rielezione di Mattarella al Quirinale. Terrorizzato dall’idea che la fine del governo Draghi mettesse fine alla legislatura.
Ancora oggi, nonostante gli atti di cecchinaggio dei singoli gruppi in Parlamento, l’alternativa a Draghi è solo lo scioglimento anticipato delle camere. La verità è che la sorte degli eletti – anche di quelli che rivendicano a gran voce l’autonomia e il rispetto del potere legislativo – è appesa a un filo. E gli stessi leader di partito, che pure cominciano a scaldarsi in vista della prossima tornata elettorale, sanno di non poter tirare troppo la corda. Rischiano di ritrovarsi in mano il cerino acceso della crisi e di passare alla storia come coloro che fecero cadere il governo Draghi rallentando il raggiungimento di obiettivi di crescita fondamentali per un paese che è fermo da più di 20 anni: a occhio e croce, non proprio un buon curriculum da presentare allo scrutinio popolare.
I più consapevoli di questa situazione sono Enrico Letta e Giancarlo Giorgetti. Ieri i due hanno fatto asse a sostegno del governo, nel corso del primo congresso di Azione, il partito di Carlo Calenda. “Siamo fortemente intenzionati a lavorare con maggiore forza e determinazione perché il governo Draghi completi tutte le cose che ci sono da completare”, assicura il segretario del Pd. Letta interpreta la parte del genitore che apprezza il prof che redarguisce i suoi figli un po’ scalmanati: “Draghi ha fatto bene e lo invito a essere assolutamente determinato”. E poi derubrica la crisi a esercizio di metodo: “ci sono questioni negoziabili e questioni non negoziabili, sulle quali il governo ritiene che debba porre la questione di fiducia. Credo che serva questo elemento di chiarezza e che questa distinzione molto chiara debba diventare metodo di lavoro: il modo migliore per completare la legislatura”.
Sul fronte opposto gli fa eco il ministro della Lega. Giorgetti sottolinea la necessità di “lavorare e prendere decisioni con la logica degli investimenti”. Spiega il ministro dello sviluppo economico: “dobbiamo fare uno sforzo ulteriore e capire che questo è un tempo in cui dobbiamo occuparci dell’offerta e non più della domanda. Questa è una epoca di investimenti”. E aggiunge: “Come sta scritto in tutti i documenti europei, la rivoluzione energetica cambia il nostro approccio. La miccia non può che partire dagli imprenditori, sono loro che fanno lo sviluppo. Ma gli imprenditori hanno bisogno di avere lo stato e le istituzioni al loro fianco. Per questo ieri abbiamo fatto un passo importante nell’automotive”. Per Giorgetti, la logica degli investimenti “non è la logica elettorale, ma la logica dell’interesse generale del paese che esige cambiamento e riforme. Non sono così stupido dal non aver colto la tensione latente che c’è tra il parlamento e il governo, ma tutto questo necessita un cambiamento profondo”.
Probabilmente l’esito non era cercato ma, all’interno di questa strana e affollata maggioranza, Letta e Giorgetti sembrano siglare l’asse del buon senso. Tanto più necessario se si pensa alle intemperanze dei loro colleghi: da un lato Matteo Salvini, che un minuto dopo l’accordo del consiglio dei ministri sulle concessioni balneari chiede di ridiscuterne in Parlamento; dall’altro Giuseppe Conte, esultante dopo il voto sull’ex Ilva che ha mandato sotto il governo in commissione. Conte e Salvini sono gli stessi che bloccarono l’ascesa di Draghi al Quirinale, gli stessi che fecero pasticci durante il casting per il Colle, gli stessi che cercheranno visibilità da qui alla fine della legislatura in una campagna elettorale, già avviata, che si annuncia come una lunga tortura per il presidente del consiglio in carica.
Tuttavia, in queste circostanze, non si può fare a meno di ricordare le parole molto nette spese da Sergio Mattarella a favore del ruolo del Parlamento durante il discorso del secondo insediamento. Troppo spesso le camere sono state ridotte a mero luogo di ratifica delle decisioni del governo. E spesso non c’è stato nemmeno il tempo di discutere provvedimenti basilari come le leggi di bilancio. “Il nostro sistema democratico, anche a causa dello stato di emergenza determinato dalla pandemia, è diventato un bicameralismo alternato. A turno, le camere, quando possono intervenire, sono inchiodate a ‘convertire’ decreti legge, senza alcuna disponibilità di risorse. Per evitare ‘incidenti’, il governo deve avere più attenzione al dialogo con il Parlamento. Le prove di forza sostenute con la fine anticipata della legislatura non aiutano l’Italia”, ha scritto ieri sul suo profilo Facebook il deputato di Leu Stefano Fassina, pur assicurando il sostegno leale a Draghi.
Insomma, lo scoglio non è più aggirabile. Lo ha capito anche il ministro per i rapporti con il parlamento Federico D’Incà: accusato nei giorni scorsi di incapacità nella gestione delle relazioni con i gruppi parlamentari, si è affrettato proprio ieri a ribadire la disponibilità al confronto per garantire la migliore collaborazione tra i due organi. Nei prossimi mesi, le frizioni tra parlamento e governo riemergeranno. Spesso Draghi dovrà reagire a brutto muso. Ma perfino a Super Mario è richiesto un surplus di pazienza per tessere il necessario dialogo con chi deve votare i suoi provvedimenti. Chiudendo ieri il congresso di Azione, Carlo Calenda ha detto: “Draghi non vuole fare politica, ma vuole governare”. Giusta considerazione, ma per governare un po’ di politica serve, eccome.
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