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Giuseppe Conte e Luigi Di Maio

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Per qualche giorno il presidente del M5s Giuseppe Conte ha pensato di assomigliare un po’ al suo vecchio amico Putin. Con una serie di annunci a effetto ha cominciato a disporre le sue truppe e la sua artiglieria intorno a Luigi Di Maio. Un po’ come la Russia con l’Ucraina.

“Condotte molto gravi, dovrà rendere conto agli iscritti”, aveva detto l’avvocato dopo che il ministro lo aveva stoppato sul nome di Elisabetta Belloni per il Quirinale (d’accordo con Licia Ronzulli di Forza Italia e Matteo Renzi di Italia Viva), delegittimandolo agli occhi di tutti: militanti, parlamentari, elettori. Colpevole di lesa maestà e di cointeressenza con il nemico.

Ma Luigi Di Maio non è piccolo come l’Ucraina e può contare – questo sì, come l’Ucraina – su molti alleati e amici. Ieri Di Maio ha fatto un passo decisivo: con una lettera di dimissioni dal comitato di garanzia del M5s si è messo fuori dalla mira dei cannoni preparati contro di lui. “Penso che all’interno di una forza politica sia fondamentale dialogare, confrontarsi e ascoltare tutte le voci”, scrive Di Maio nella missiva.

Inoltre, ribadisce: “Tutte le anime, anche chi la pensa in maniera diversa, devono avere spazio e la possibilità di esprimere le proprie idee”. Sul punto, però, ammette: “anche io in passato ho commesso degli errori su questo aspetto, errori che devono farci crescere e maturare”.

In passato, da capo politico del M5s, lo stesso Di Maio non ha esitato a infliggere purghe staliniane ai dissenzienti. La lettera fa parte di un piano premeditato. Lo si capisce dalla pioggia di comunicati di sostegno che nelle ore successive arrivano dai parlamentari che sostengono il ministro. In fila uno dopo l’altro, lo difendono i parlamentari Adelizzi, Serritella, Caso, Fantinati, Vaccaro, Cilis, Barbuto, di Nicola, Maraia, Iovino, D’Uva, Battelli. Anche le truppe di Di Maio, insomma si schierano per la battaglia.

Questa volta – lo giurano tutti i ‘dimaiani’ – non ci saranno scissioni. Ma saranno difficili anche nuove epurazioni. La corrente del ministro è cospicua, coesa, solida. Improbabile una espulsione collettiva: sarebbe un irreparabile danno di immagine per il Movimento e comporterebbe un drastico ridimensionamento del drappello di parlamentari. Sarebbe come tagliarsi da soli mani e piedi.

E poi il M5s, a suo modo, è cresciuto e cambiato. La rielezione di Sergio Mattarella, determinata in gran parte dai parlamentari grillini, sta lì a dimostrarlo. Lo sa anche Beppe Grillo, che ieri, dopo l’annuncio di Di Maio, interviene con un post sul suo blog per chiedere al Movimento di “passare dai suoi ardori giovanili alla sua maturità, senza rinnegare le sue radici ma individuando percorsi più strutturati per realizzarne il disegno”.

Che cosa significa esattamente? Il garante propone “5 stelle polari”, ispirate nientedimeno alle Lezioni americane di Italo Calvino. La ‘leggerezza’: ovvero un modello sostenibile di economia circolare. La ‘rapidità’: un sistema di attuazione delle regole rapido e decentrato. L’’esattezza’: un sistema di regole certe e prevedibili. La ‘visibilità’, che, tradotta, vuol dire trasparenza. La ‘molteplicità’, con l’estensione della partecipazione dei cittadini alle decisioni della politica e il rafforzamento della democrazia partecipativa diretta.

È la solita fumosa ideologia grillina o l’inizio di una strutturazione come partito moderno? Lo scopriremo soltanto con il tempo. Per adesso, è in corso una competizione accesa per conquistare la leadership e per orientare la linea dei pentastellati nei prossimi mesi.

L’esito di questa lotta avrà ripercussioni decisive sul futuro del sistema politico italiano. Il M5s è ancora il primo partito in parlamento. Ha segnato la storia di questa legislatura. La sua identità gassosa lo ha reso protagonista degli assortimenti più vari: è stato il perno dell’alleanza gialloverde, poi dell’alleanza giallorossa, infine delle larghe intese a sostegno del governo di unità nazionale di Mario Draghi. Dove lo porteranno in futuro Conte e Di Maio per ora resta un mistero.


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