Giuseppe Conte, Beppe Grillo e Luigi Di Maio
4 minuti per la letturaIl punto vero non sono le polemiche e i distinguo riguardo la possibilità di dialogo con i talebani, sottoscritta da Giuseppe Conte, rovesciata da Beppe Grillo e rettificata da Luigi Di Maio. Il nodo, cioè, non sono le persone: il nodo è proprio la linea politica. Nel “nuovo” MoVimento guidato dall’ex premier risulta alla stregua di un’Araba fenice che appare e scompare, si gonfia e s’affloscia; un vessillo da sventolare e magari poco dopo ammainare o quanto meno raddrizzare.
Non è un caso bensì il frutto di una contraddizione strutturale riguardo la governance dei Pentastellati, e quello sull’Afghanistan non resterà un episodio isolato. La radice del problema sta nella non risolta questione della conduzione dei Cinquestelle, che lo Statuto tanto discusso e infine plebiscitariamente approvato via online, lascia aperta per non scontentare nessuno dopo il rimpallo di accuse che ha visto protagonisti il Fondatore nonché Garante e il Presidente fresco di incoronazione.
Il testo infatti se da un lato specifica che “il Presidente è l’unico titolare e responsabile della determinazione e dell’attuazione dell’indirizzo politico del MoVimento 5 Stelle”, nonché “il rappresentante politico del MoVimento in tutte le sedi”; dall’altra afferma che il Garante del M5S, cioè Grillo, è “il custode dei valori fondamentali dell’azione politica del MoVimento 5 Stelle ed ha il potere di interpretazione autentica, non sindacabile, delle norme dello Statuto”.
Insomma diarchia allo stato puro – con la triangolazione eventuale di Di Maio – con un palleggiamento sulla individuazione e responsabilità delle scelte sulla politica che resta l’elemento caratteristico della leadership grillina. Unitaria, ma plurale. Identitaria ma confusa.
Su queste basi, è inevitabile che ogni passaggio delicato vedrà riproporsi il problema. Il risultato è un andamento ondivago che se da un lato consente adattamenti e flessibilità continue anche a costo di scontare un prezzo salato in termini di coerenza, dall’altro confonde i militanti mantenendo però aperte le porte a tutte le opzioni, quelle moderate e quelle più barricadiere.
È un panorama contraddittorio ma in fin dei conti obbligato. Come abbiamo rilevato in altre occasioni, non può esistere un M5S senza Grillo come non può esistere un Conte senza MoVimento. Devono convivere per forza l’uno accanto all’altro, scontando umoralità e impennate reciproche. Una condizione che prosciuga forze e capacità di intervento, visto che il rovescio della medaglia della diarchia è l’impossibilità di spezzarla.
Naturalmente le conseguenze negative più vistose di un simile stato di cose si riversano sull’alleato principe, e cioè il Pd. Sul dialogo con i Taliban il Nazareno ha dovuto prendere le distanze, e particolarmente duro è stato il commento della responsabile Esteri, Lia Quartapelle. Significativamente urticante il fatto che nel mirino sia finito direttamente Conte e non qualche esponente di secondo piano ma tutt’altro che trascurabile, com’è accaduto con la senatrice Taverna sullo ius soli. Però la politica estera è l’asse portante di qualunque intesa: se coesistono visioni differenti, il testacoda è inevitabile.
Non a caso, sul versante opposto, l’elemento maggiormente distorsivo nel percorso che porta all’unione tra Lega e Forza Italia è proprio la divaricazione nella scelta dei partner europei e nell’ affiliazione a questo o quel gruppo, che è simbolo delle scelte di campo da adottare. Tradotto: che Forza Italia sia nel Ppe e Salvini corteggi Orban rappresenta un macigno sulla via della costituzione di un partito o gruppo unico.
L’ambiguità dello Statuto grillino rende inestricabile la querelle su chi davvero comanda. Conte è determinato a far valere i suoi poteri, e non potrebbe fare altrimenti. Grillo sceglie sempre più frequentemente la strada della contrapposizione verbale e di contenuti più aspra possibile. Nel botta e risposta con Conte non risparmiò all’ex premier critiche severissime non solo politiche. Stavolta, seppur per l’interposta persona dell’ambasciatore Torquato Cardilli, non lesina addebiti forti a Di Maio (“uno yesman”) né risparmia il presidente M5S (“Scelte scellerate” sulle missioni militari).
L’impressione è che i ponti del dialogo siano in via di incenerimento. Il Garante non può non far sentire la sua voce ed il suo peso sull’identità politica del MoVimento: l’indizione del convegno online sul reddito universale che termina oggi è la plateale conferma che Grillo intende continuare a presidiare un territorio politico che per primo ha seminato ed arato.
Ma pure Conte non può né intende tirarsi indietro. È alle prese con il premier e i sostenitori della maggioranza draghiana, ben sapendo che l’obiettivo principale è salvaguardare il suo raggio d’azione e la sua leadership. In altri termini si tratta di una guerra civile più o meno a bassa intensità. Le premesse perché possa salire ci sono ma almeno per ora restano nei rispettivi arsenali. Nessuno dei due contendenti ha interesse a provocare lo scontro. Ma costretti a camminare sul ciglio del burrone, mettere un piede in fallo diventa quasi inevitabile.
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