L'ex ministro Elsa Fornero
5 minuti per la letturaSolo in un Paese che ha perso il senso della misura può succedere che la nomina, in una commissione consultiva coordinata da un sottosegretario, di una economista di fama internazionale, professore ordinario in una Università tra le più quotate, autrice di una lunga lista di libri sulla materia, diventi un caso di cui si occupano i media, come se un marziano fosse sbarcato a Palazzo Chigi.
Parliamo di Elsa Fornero che è stata chiamata a fare parte, insieme ad altre 25 personalità competenti in diverse materie, del Consiglio di indirizzo del Dipe. Ad assistere alla sorpresa che la nomina ha suscitato verrebbe da pensare che la mia amica Elsa sia stata resuscitata da Draghi.
E ovviamente si sono aggiunte le proteste da parte di quel settore della politica che ha prosperato grazie alle menzogne propalate sulla riforma delle pensioni che porta il nome dell’ex ministro del Lavoro del governo Monti.
Siamo all’Oscar della malafede nei confronti di una legge (il decreto Salva Italia, agli articoli 24 e 25, era il contenitore della riforma del 2011) approvata da una maggioranza di due terzi dei parlamentari, in ambedue le Camere; una riforma che è considerata ottima da tutti gli osservatori internazionali, che è difesa dalla Ue, che non ha prodotto nessuno degli effetti devastanti di cui è accusata, tanto che l’Italia è divenuta – nonostante Elsa Fornero – il “Paese dell’anticipo’’ poiché il numero delle pensioni anticipate supera di circa due milioni quello dei trattamenti di vecchiaia.
Nei confronti della riforma Fornero si sono profuse critiche per sentito dire, si sono presi per validi i più beceri luoghi comuni, senza mai produrre una giustificazione fondata su dati reali, a portata di tutti. Ma al di là delle considerazioni di merito come si può “personalizzare’’ (fino ad organizzare manifestazioni sotto casa) una legge come se Elsa Fornero l’avesse concepita ed imposta da sola con un colpo di Stato?
I partiti – anche quelli che appoggiavano il governo Monti – dicono di essere stati costretti a votarla per la situazione in cui si trovava il Paese. Ma il governo e il ministro del Lavoro non operavano forse in quella medesima situazione di crisi? Eppure la fatwa non è stata mai ritirata come fanno gli oltranzisti islamici con chi “offende’’ il Profeta. Di pensioni si dovrà parlare: il ministro Andrea Orlando incontrerà tra pochi giorni i sindacati per discutere della materia e dovrà misurarsi con una piattaforma fuori non solo dal mercato, ma dalla storia. È veramente singolare che questo Paese rifiuti di fare i conti con gli effetti congiunti della denatalità e dell’invecchiamento. Basta varcare il confine col Canton Ticino per accorgersi che sono i giovani a chiedere di elevare l’età pensionabile proprio per fare fronte agli squilibri prodotti dalla demografia.
I Giovani liberali svizzeri – scrive una nota del Ticinonews – hanno presentato nei giorni scorsi a Berna (al governo federale) una petizione “Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibile (Iniziativa sulle pensioni) che ha raccolto 145mila firme. Il testo chiede che l’età pensionabile sia prima aumentata da 65 a 66 anni e poi legata alla speranza di vita. Concretamente l’età pensionabile per entrambi i sessi verrebbe innalzata a 66 anni entro il 2032. In seguito dovrebbe essere adattata alla speranza di vita aumentando di 0,8 mesi per ogni mese di aspettativa di vita supplementare. I giovani liberali – spiega la nota – difendono la loro proposta spiegando che le condizioni quadro dell’AVS (la nostra IVS) sono cambiate drasticamente dalla sua introduzione, nel 1948. Oggi, per ogni 44 anni di attività, ci sono 22 anni di pensione, mentre nel 1948 erano solo 12,5. Inoltre, attualmente 3,5 persone occupate finanziano un pensionato, nel 2050 sarebbero solo 2. Sono considerazioni che, mutatis mutandis, valgono anche da noi.
«Se non facciamo nulla, la Svizzera dovrà affrontare una marea demografica», ha dichiarato Matthias Müller, presidente della sezione giovanile citata. A suo avviso, solo con questa riorganizzazione il finanziamento dell’AVS potrà essere assicurato a lungo termine. Certo: noi abbiamo già dato per molti aspetti anche se va considerato che la Svizzera non ha un numero prevalente di pensioni anticipate. I lavoratori vanno – come Dio comanda – in pensione di vecchiaia. E basta. Ma non c’è bisogno di varcare le Alpi per leggere considerazioni talmente evidenti che solo dei “terrapiattisti’’ delle pensioni possono mettere in discussione.
Come scrive Enzo Cartaregia nel saggio “Pubblica (im)previdenza’’: «È allora bene ribadire qui che, sebbene non esistano categorie assolute di giusto o sbagliato nella politica e nei rapporti tra Stato e cittadini, è tuttavia necessario “per costituzione” che in uno stato democratico si esigano opportune valutazioni ex-ante ed ex-post degli interventi di policy adottati in nome e per conto dei cittadini; che si ponga il tema di una comunicazione pubblica effettivamente valida e leale nella separazione tra funzioni di pubblica utilità e comunicazione politica; che si ancorino queste due prime prerogative – in casi come quello della previdenza, in cui la politica non può improvvisare soluzioni che le leggi dell’economia sgretolerebbero come castelli di sabbia – alle necessità finanziarie che le istituzioni hanno il compito di rispettare nell’interesse dei contribuenti».
Gian Carlo Blangiardo è un demografo ed è stato nominato presidente dell’Istat dal governo Conte 1. Ciò non si significa che uno scienziato di vaglia come lui abbia delle appartenenze politiche. Ma i fatti hanno la testa dura. In una recente intervista su Huffpost, tra tante considerazioni che sarebbe bene mandare a memoria, il presidente dell’Istituto di Statistica ha dichiarato: «Con una demografia come questa non è sostenibile che le imprese mandino il proprio personale via a 55-60 anni. Una soluzione, invece, sarebbe quella di mantenere i lavoratori più anziani aggiornati con programmi di formazione continua.
L’interscambio fra le generazioni è un valore importante, che viene perduto con i prepensionamenti, i quali creano una brusca cesura. E non è vero, come spesso si dice, che per ogni anziano che se ne va si libera un posto per un giovane. La verità è che non c’è contrapposizione tra giovani e anziani, come invece molti hanno fatto e fanno credere: possono e anzi devono convivere». E alla domanda maliziosa del giornalista sulla responsabilità della legislazione, Blangiardo risponde: «Non so dire se, e in che misura, sia colpa della legislazione. So soltanto che ci sono troppe uscite anticipate. E a questo si dovrebbe trovare un rimedio». Vale anche per queste considerazioni la cancel culture applicata ad Elsa Fornero?
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