Enrico Letta e Matteo Salvini
3 minuti per la letturaIl quadro politico italiano continua ad essere in evoluzione. Proviamo a mettere in fila qualche dato. Il centrodestra sembrava avviato ad certo compattamento, ma la faccenda è smentita subito. Sotto gli occhi di tutti la mossa, ancora una volta improvvida, di Salvini che in Europa si inventa un blocco di ultraconservatori, convinto così di sottrarre spazio in Italia alla Meloni senza che la cosa gli serva particolarmente a Bruxelles. Inutile dire che il giochetto di fare un giorno quello che si è convertito alla responsabilità fiancheggiando Draghi e l’altro il solito Salvini che inneggia a tutelare la polizia penitenziaria manesca (eufemismo) e a promuovere il sovranismo (straccione) non gli porterà fortuna. Intanto lo mette in difficoltà con FI, saldamente legata al PPE, e non risolverà la faccenda puntando sui desideri presidenziali di Berlusconi. In secondo luogo fa sempre più fatica a mostrare che le intese del suo blocco sono più auspicate che altro: vedi la difficoltà di risolvere le candidature a sindaco a Milano e Bologna nonostante l’incalzare del tempo.
Contare che a dar fiato al centrodestra sia la crisi dei Cinque Stelle ci pare una illusione. Intanto perché l’esito di questa crisi non è ancora chiaro. Al momento c’è anche la possibilità che passo dopo passo si risolva con l’affermazione alla testa di M5S della sua vera nuova classe dirigente, cioè Di Maio e Fico, riducendo molto il peso di Grillo (che peraltro avrebbe tutto l’interesse a sostenerli, perché sono … figli suoi) e dando una solenne ridimensionata alle velleità di Conte di farsi un suo partito a spese dei Cinque Stelle. Pensiamo che siccome “accà nisciuno è fesso” avranno subodorato che il nuovo partito di Conte non sarebbe dei Cinque Stelle, che magari puntano al secondo mandato, ma quello, per dire, degli Arcuri, Casalino, Vecchione e via elencando.
Come finirà è presto per prevederlo, ma probabilmente la partita è più intrigante di quella della sceneggiata fra l’Elevato e il Figurante. Ovvio che la conclusione di questa vicenda avrà molti riflessi sul sistema politico in generale e lo si vedrà in parte già dagli esiti delle elezioni amministrative. Anche qui il quadro è in movimento. Il fallimento della candidatura comune col PD in Calabria visto il passo indietro della Ventura non è un fatterello qualunque. Le vicende romane sono di nuovo in movimento, con la candidatura di Gualtieri meno solida di quel che non sembrasse una settimana fa.
Non sappiamo il peso da dare all’ultima mossa di Renzi che cerca di ritrovare una qualche visibilità infilandosi nel pasticcio del DDL Zan. Sposa qualche tema ragionevole, magari gradito anche alla Chiesa, ma soprattutto di buon senso, ma si trova in una situazione difficile se per far passare la sua mediazione sarà costretto a puntare sull’appoggio del centrodestra. La chiusura dei vertici del PD e dei Cinque Stelle è frutto di riflessi condizionati e della paura di rompere con quel radicalismo alla moda che si pensa porti voti (sottovalutando quanti ne fa perdere), ma tant’è: su quel tema sono tutti inchiodati in mezzo ai vari guadi.
La situazione aprirebbe spazi notevoli al PD se solo li sapesse cogliere. Non basta infatti insistere nella contrapposizione a Salvini, che è una mossa scontata e che non apre nessuno spazio nuovo. Occorrerebbe avviare un qualche discorso con FI, o almeno con alcune sue componenti, ma soprattutto puntare ad un confronto maturo che quella “vera” classe dirigente interna ai Cinque Stelle, abbandonando la sopravvalutazione di Conte, che lo ha portato a sostenere più un concorrente che un alleato. Su questo terreno potrebbe riaprire un discorso con la nebulosa che convenzionalmente si definisce come “centro”, fatta da forze anche parlamentari come IV, Azione, Più Europa, o esterne come il raggruppamento messo in piedi da Bentivogli.
Con queste forze è necessario ristabilire un accordo, ora che la loro pregiudiziale anti-grillina (comprensibile e non infondata) potrebbe essere rivista alla luce di un M5S che si ristrutturasse abbandonando, magari senza troppe fanfare, le “visioni” di Grillo ma anche i progetti di rioccupazione del potere da parte di molte lobby del mondo burocratico ed economico, progetti legati al tentativo di imporre la leadership plebiscitaria di Conte.
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