Beppe Grillo
2 minuti per la letturaChissà quale tipo di mediazione i Magnifici Sette pescati da Grillo nell’infinito pozzo delle meraviglie pentastellato potranno organizzare. Già la scelta è evocativa, e si può giocare alle somiglianze dei prescelti con il film cult di John Sturges.
Chi altri può interpretare Yul Brinner se non Vito Crimi, eroe buono per tutti gli usi e le vicissitudini? Per non parlare di Robert Vaughn, elegantissimo pistolero scettico: chi se non Di Maio può indossarne i panni? James Coburn è spiccicato (si fa per dire) a Stefano Patuanelli: il cuore da una parte, la ragione dall’altra. E che dire di Roberto Fico, pari pari a Charles Bronson, baffi e barba compresi? C’è anche una signora, che nella pattuglia del 1960 non era prevista (Hollywood maschilista). Ciò non toglie che all’europarlamentare Tiziana Beghin stanno bene i panni di Rosenda Monteros, la Petra sulla quale costruire la pietra del miracolo compromissorio.
Ma questa, appunto, è la fantasy. Poi c’è la concreta realtà di una divaricazione tra l’Elevato e il promesso leader che è personale (io sono bravo, tu no); di potere (comando io, tu no); ideologica (un partito fallo tu, io no) e perfino comportamentale: chi può immaginare un video del sussiegoso Conte con i toni e il nevrotico gesticolìo di Beppe?
Quale credibile e solida sutura è mai possibile in queste condizioni? C’è chi nota che il conflitto tra i due Beppe si nutre solo di potere, la politica è escluda. Vero, ma solo in parte. Intanto l’oggetto del contendere resta inspiegabilmente segreto, quello Statuto che Grillo ha vissuto come una inaccettabile detronizzazione e Giuseppe Conte come una inevitabile evoluzione: lì è il nocciolo politico-organizzativo che ha funzionato da miccia.
E c’è forse qualcosa di più politico del potere e del suo esercizio? Lo scontro ideologico è sotteso ma palese: una cosa è la strutturazione di una forza politica secondo i dettami della democrazia rappresentativa con tratti liberali; altro è l’assolutismo di un MoVimento carismaticamente impostato ma capace di mietere il 33 per cento dei consensi: risultati così chi li ha avuti? Neppure Berlusconi, cha poteva contare sulla forza delle tv, del prestigio e fascinazione del Milan e sull’articolazione territoriale della Fininvest.
E allora il nocciolo duro dell’impossibilità grillina è che quelle dei duellanti sono impostazioni e strategie irriducibili l’una all’altra. Se davvero si arriverà ad un compromesso, sarà un accordo scritto sui nervi e sulle ipocrisie. I primi pronti a saltare al primo intoppo o scelta parlamentare impegnativa; le seconde che fuoriusciranno come molle compresse non appena la scatola delle strumentalità (vogliamo parlare del vincolo del doppio mandato?) non riuscirà più a contenerle. Il compromesso frutto della mediazione è come il pugilato: “la nobile art dell’autodifesa”, come la definì il suo inventore nell’epoca moderna, il maestro di fioretto James Figgs.
Solo che l’autodifesa non accetta compromessi. Se la mediazione che è frutto della paura di autoassolvimento prevarrà, il pericolo è che il M5S diventi bicefalo, con ognuna delle due parti che procede per la sua strada. Fino a spezzarsi.
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