Conte, Grillo e Di Maio
5 minuti per la letturaSi rimane in alto mare. Lo scontro interno ai Cinque Stelle è sostanzialmente in una fase di stallo. Si susseguono riunioni, incontri a due, dichiarazioni con tutte le risorse che internet mette a disposizione, ma almeno sino ad ora non si capisce dove andremo a finire.
Perché si fa presto a parlare di scissione, contiani da una parte e fedeli a Grillo dall’altra, ma non è così semplice farlo adesso quando per sei mesi non si potrà andare alla prova elettorale e intanto il governo andrà avanti.
Se non si tiene presente questo scenario non si capisce l’impasse in cui versa M5S. D’accordo si possono fare tutte le speculazioni possibili, rivolgersi ai più sperimentati Azzeccagarbugli per capire dove è il bandolo della matassa di un Non-Statuto in cui si trova tutto e il suo contrario con tanto di decisioni pregresse prese a norma e lasciate cadere senza che succedesse nulla (a partire da quel che hanno deciso gli Stati generali, rinviati per mesi, a cui né Grillo, né Conte, né Crimi hanno prestato alcuna attenzione).
In un contesto in cui nessuna regola vale e tanto il “garante” quanto colui che non è neppure iscritto ma si fregia del titolo ambiguo di leader in pectore hanno il minimo riguardo per quel che è stato discusso e deciso con qualche simulacro di partecipazione democratica è difficile pensare che si stia discutendo “in punta di diritto”.
Che ci sia una volontà di scindersi almeno in due parti (lasciamo stare quante correnti ciascuna conterrà) appare abbastanza evidente, ma è come gestire questa separazione la questione aperta.
Alla soluzione che potrebbe apparire più banale, ovvero che entrambi o abbandonano il governo Draghi o ci restano dentro, non si può arrivare. Di abbandonare un governo che sta cogliendo risultati e che ha la prospettiva di gestire quanto meno la prima tranche dei fondi del PNRR non ci pensa nessuno. Non ci sarebbe gran che da raccattare stando all’opposizione, visto che tutto quel che si poteva guadagnare su quel fronte se l’è preso la Meloni.
Si lascerebbe tutto lo spazio da un lato a Salvini e a FI, ma dall’altro al PD e a Renzi ed è a quegli elettorati che vogliono rivolgersi soprattutto i “contiani”, ma in fondo anche i “grilliani”. Siccome per almeno sei mesi, ma più probabilmente per otto o nove non si potrà proprio votare, si capisce che si tratterebbe di provare a sfilare consensi a forze che intanto avranno tutto il tempo per presentarsi con in mano i primi risultati del Recovery.
Draghi si è esposto a dire che ci sono buone prospettive di ripresa economica e Salvini si è affrettato a far sapere che già sono passate riforme molto attese grazie alla presenza della Lega. Il PD è più cauto, perché non si decide a fare il passo di sposare in pieno la politica di Draghi, ma si capisce che anche lui vuole essere della partita. A cannoneggiare le incapacità di M5S di dare apporti a questa ripresa ci pensano Renzi e Calenda. Mettersi contro corrente rispetto a questi trend non conviene certo a Conte, se davvero pensa che il suo partito parlerà ai moderati, ma nemmeno a tutti i Cinque Stelle che stanno nelle stanze del “sistema” (che non è fatto solo del governo).
Quella che al momento si sta rivelando come la testa più fine di quel gruppo, cioè Di Maio, si guarda bene dal partecipare all’opera che punta allo sfascio per compiacere gli ego di Conte e Grillo, nonché dei rispettivi pretoriani. Il problema è che anche continuare a stare nel governo nel caso ci si scindesse in due, in maniera aperta o anche coperta, presenta non poche difficoltà. Nel momento in cui ci fossero due distinti gruppi parlamentari, entrambi coinvolti nel governo di quasi solidarietà nazionale, si porrebbe il tema delle quote di rappresentanza di ciascuno all’interno dell’esecutivo.
Quello di Draghi, fatta salva una riserva per i suoi “tecnici”, ha distribuito col bilancino dei pesi parlamentari sia i ministeri che i posti da viceministro o sottosegretario. Per quel che si può intuire una spaccatura fra le due componenti pentastellate non verrebbe rispecchiata quanto a peso di ciascuno con le attuali caselle che si trovano coperte dai Cinque Stelle. Anche perché non è solo questione di “numeri”, ma anche di “pesi”: gli Esteri (Di Maio) non sono equivalenti all’Agricoltura (Patuanelli). Gli esperti che si sono formati sulle varie versioni del “manuale Cencelli”, sempre dileggiato, ma sempre più o meno applicato, capiscono al volo la viscosità della situazione.
Tuttavia uscire da quest’impasse non sarà facile. Ammettiamo che arrivi quello che al momento potrebbe essere considerato un miracolo: Grillo e Conte trovano modo di mettere giù un patto per deporre le armi. Tutti sanno che si tratterebbe di una tregua di incerta tenuta, perché la spaccatura esiste e non è componibile e per di più da due punti di vista: uno molto evidente che consiste nella pretesa di entrambi di vedersi assegnato il bastone del comando senza doverlo dividere con alcuno; l’altro, meno valutato, ma molto consistente, costituto da due visioni opposte del compito del movimento: conquistare il massimo potere possibile alle condizioni esistenti o continuare a proporsi come portabandiera di una rivoluzione che si è convinti arriverà, basta saper aspettare.
Il fatto è che non si tratta di una “questione privata” fra due fazioni, ma di un ulteriore episodio di quello sciame sismico che da un decennio mette in crisi il sistema politico italiano. Questo porterà a sviluppi che forse nessuno degli attuali attori riesce neppure a intravvedere.
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