Beppe Grillo
3 minuti per la letturaUn faccia a faccia di breve durata, con una semplice constatazione: Giuseppe Conte e Luigi Di Maio hanno conversato, per un’ora e mezzo. Che di questi tempi, di penuria verbale, è già a indicare che l’oggetto di cui parlare – lo strappo tra Grillo e Conte – presenta alcuni aspetti rilevanti.
Anche il luogo dell’incontro – l’abitazione dell’ex premier, nel cuore di Roma – sembra significare che non tutto è perduto, che un filo di dialogo è in corso.
Malgrado ciò, non c’è alcun clima di ottimismo. E gli uomini abituati a tirare le fila non si lasciano andare ad alcuna previsione. Se non il fatto che in due o tre giorni si può arrivare a una soluzione. Ma su che basi, su quali argomenti e con quali mezzi non si sa.
Tuttavia nei discorsi privati, nei piccoli conciliaboli, è prevalente l’idea che tutto “sia finito”. E questo interlocutore, conoscitore del mondo grillino, non si lascia andare a rissose polemiche, confidando in un esito finale positivo. Forse perché, un po’ tutti, compresi gli avversari, non vogliono nemmeno immaginare le conseguenze di una scissione. Che già si immagina con un centinaio di uomini aggregati alle truppe di Conte.
Sono tutti calcoli tracciati alla buona, su fogli di carta. Per sottolineare che la scissione è partita da Di Maio, l’altra sera, ha mandato un segnale all’universo pentastellato, facendo fare irruzione a un suo fedelissimo, Vincenzo Spadafora, nell’assemblea dei deputati 5stelle, che fino a quel momento procedeva su binari tranquilli e sincopati.
L’ex ministro dello Sport parla e dice che a Conte va riconosciuta “una visione politica” nell’azione di governo, ma non una propensione alla leadership. E sottolinea con acuto sentire: “Due mestieri differenti”. Parole per indicare un segnale per scaricare l’ex premier? Giochi della politica? È possibile, non certo.
E c’è un altro segnale a favore della profonda divisione tra Grillo e “Giuseppi”. Il garante appare in video vestendo i panni del papà ferito e non padre padrone. Ripete sempre che non è Conte la persona più adatta per cambiare il movimento.
Ma a stretto giro, risponde l’ex premier: “Non terrò il mio progetto nel cassetto”. Che equivale a far partire la macchina del nuovo partito. Progetto a volte cullato, ma che risponde alle nuove esigenze grilline.
Poi c’è un colpo di scena. I senatori 5 stelle decidono di diffondere una nota in cui si ringrazia Conte “per lo sforzo profuso nella redazione del nuovo Statuto, che tuttavia, ad oggi, gli iscritti e gli eletti non conoscono ed hanno tutto il diritto di vedere”.
Il clima di tempesta non vuole terminare. Anche in Campidoglio si estende la febbre grillina. Marco Terranova, Donatella Iorio, Enrico Stefano ed Angelo Sturni hanno lasciato il movimento. E la sindaca Virginia Raggi ha perso definitivamente la maggioranza. I quattro hanno formalizzato la nascita di un nuovo gruppo. Ma c’è ribellione per le parole con cui Grillo ha strapazzato Vito Crimi. La senatrice Alessandra Maiorino rovescia sul garante accese accuse.
Grillo unilateralmente ha deciso “non solo che quel lavoro non andava bene, ma che lo stesso Conte non andasse bene”. E ricorda di quanto fatto da Conte che ha “condotto il Paese a due diversi e opposti governi, che ha guidato il Paese nella fase più dura, che abbiamo difeso a testuggine dagli attacchi strumentali di forze e forzette politiche”. “Ora chiediamo – sollecita la Maiorino – che il garante autorizzi Conte a far conoscere il documento e il carteggio in questione e consenta alla comunità nata dalla sua idea di democrazia e partecipazione di esprimersi”.
Ma tutto il Senato si schiera compatto per la fiducia al capo politico reggente, Crimi. Il quale replica, chiedendo alla controparte di “non dire falsità sul mio conto e sul mio operato”. Ma chiede pure di sottoporre lo Statuto al voto degli iscritti. Ma non sulla piattaforma Rousseau.
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