Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini
5 minuti per la letturaL’incontro che dovrebbe produrre un innesto (e non necessariamente un matrimonio) tra Lega e Forza Italia risente ogni giorno della tempesta politica legata alla fine ancora tortuosa della pandemia.
Mentre in Francia già si strappano le mascherine dichiarando finita la pestilenza, in Italia il numero dei morti oscilla ancora fra i cinquanta e i cento senza azzerarsi, sicché partiti come la Lega e Fratelli d’Italia – che per loro natura elettorale tendono a scardinarsi dalla direzione di marcia governativa si gettano nelle piccole mischie della difesa immaginaria contro la disciplina che il governo garbatamente impone per porre termine alla strage di esseri umani e della distruzione delle capacità economiche.
Questo è il cuore del malincontro tra i liberali berlusconiani e i forzisti che si sentono più inclini alle posizioni di Giorgia Meloni che non a quelle del centro forzista. In questo modo Salvini tenta di ostacolare per quanto è possibile il gioco di Giorgia che per ora ha avuto vita fin troppo facile nell’occupare la prateria dell’opposizione, visto che tutti gli altri sono barricati dentro Palazzo Chigi anche quando non sono per natura filogovernativi.
La strada è dunque ancora lunga perché mancano parecchi pezzi delle fondamenta che dovrebbero costituire la piattaforma resistente alle intemperie della politica quotidiana. Mentre il partito di Berlusconi aderisce in maniera convinta alla linea di condotta del governo Draghi (di cui si considera antesignano e dante causa), la Lega e Fratelli d’Italia nicchiano. E nicchia anche Salvini il quale ha capito che non si può uscire dai binari imposti da Draghi, quando può essere molto più appagante fare due passi di danza laterali per non lasciare tutto il terreno alla rivale.
Salvini e Berlusconi hanno per ora incassato soltanto il forte accordo sulla Calabria accordandosi sul nome di Roberto Occhiuto, fratello del sindaco di Cosenza e capogruppo alla Camera: un politico accorto, capace di una politica attiva sia sul piano tattico che sulle prospettive strategiche: li unisce lo slogan comune: richiamarsi alla vittoria mitica legata al nome della governatrice Jole Santelli che dopo una trionfante vittoria, morì poco dopo l’inizio del suo mandato.
Berlusconi ha voluto sottolineare il fatto che Roberto Occhiuto è un brillante imprenditore e che rappresenta il ceto produttivo borghese avanzato, una sottolineatura che enfatizza l’immagine del futuro partito – nella mente del fondatore di Forza Italia – che dovrebbe essere quella di un partito liberale di massa e non di una appendice della Lega. E, ancora di più, dovrebbe somigliare a una costellazione super riformista come quella laburista nel Regno Unito o a un rassemblement alla francese. Tutte esperienze, queste, in cui ciascuno porta la sua dote la sua caratteristica genetica senza costringere nessuno a rinunciare alla propria identità, mantenendosi in un recinto di cui sono definite le barriere ma senza obblighi rituali religiosi come si fa per i matrimoni indissolubili. L’esperienza dell’unificazione con Fini nel Pdl, insegna. Berlusconi sta lavorando quindi per l’ultima promozione del suo movimento originario che ha quasi trent’anni anni di vita, dissolvendolo in un’area più vasta di quella che occupava originariamente; e allo stesso tempo rendendo invisibili le sue fragilità che consistono in una scarsa scuola di leadership, se si fa eccezione per Antonio Tajani che viene dalla presidenza del Parlamento europeo e agisce cercando con tutte le sue forze di promuovere una politica che tenga insieme tutti i pezzi in fibrillazione.
Questi pezzi, lo abbiamo detto tante volte, sono quelli che fanno capo alle onorevoli Carfagna e Gelmini e poi ai cespugli distaccati di Toti e alcuni altri in perenne agitazione. Per Tajani questo è un lavoro di continua a tessitura anti-stress, in attesa che nasca quel sentimento comune che per ora è soltanto sperato e invocato, da cui dovrebbe partire un soggetto politico simile ai suoi genitori ma diverso nei caratteri e nella mobilità tattica. Berlusconi ricorda spesso che il territorio conquistabile è quello del mancato riformismo moderno della sinistra guidata da Enrico Letta, un riformismo che chiede una guida e può trovarla proprio nel nuovo soggetto che non sarebbe più un partito di destra ma un partito riformatore moderno, indiscutibilmente europeo anche se conservatore nei principi e apertissimo ad esperienze nuove.
La scena internazionale peraltro si sta chiarificando, con un riposizionamento dell’Italia in funzione fortemente anticinese ma al tempo stesso disperatamente non allineata con la politica di Biden, molto indispettita nei confronti della Russia di Putin. L’incontro tra Putin e Biden ha per ora dimostrato che il presidente americano è piuttosto fragile nella sua tattica e che il suo filo europeismo è per ora soltanto la riedizione di un patto di alleanza, prima di tutto militare, volta a mantenere sotto controllo i due massimi paesi non occidentali e cioè la Federazione russa e la Repubblica popolare cinese.
Ma in Italia la politica radicalmente antirussa non trova una grande accoglienza: certamente non da parte dei tedeschi che sono legatissimi al mercato russo come confermato da secoli di storia, e dunque il fattore unificante di una politica anti anticinese è prevalente su quello contestato della politica anti russa americana alla quale il governo Draghi non dà segni di grande adesione. Matteo Salvini, che ha un passato recente molto compromesso con i russi, cerca di sviluppare la situazione a suo vantaggio accentuando le ostilità anticinesi come fa del resto anche Silvio Berlusconi e in questo c’è sintonia di vedute.
Il presidente del consiglio Draghi, d’altra parte, ha dato loro ragione perché non ha accettato la politica “con l’elmetto” proposta dal presidente americano neanche nei confronti dei cinesi, avendo ridotto il conflitto tra i Paesi occidentali e la Cina alla sola questione dei diritti umani della minoranza musulmana e quella dei diritti civili di Hong Kong. Molto poco, se si considera che la vera ragione del conflitto fra Stati Uniti e Cina sta nella latente guerra per il controllo del Mare cinese del Sud su cui l’Italia non vuole ficcare il naso diversamente da quanto fanno già la Francia e l’Inghilterra molto coinvolte su quel fronte. Ecco quindi che la politica estera fornisce degli strumenti utili per presentare al paese un soggetto politico unito in una posizione anti cinese molto dichiarata, in una politica di salvataggio della Russia di Putin appena sussurrata, e in una politica europea molto più unita di un tempo, riconoscendo l’intera Europa una vera leadership nel suo premier Draghi, cosa che semplifica molto tutti i problemi.
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