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Enrico Letta e Matteo Salvini

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Se la messa in sicurezza sanitaria rispetto al Covid è una delle carte vincenti del governo Draghi, è logico che i partiti che sostengono l’esecutivo vogliano prendersi la loro quota parte di dividendo. Alcuni, come Pd e M5S, elogiandosi per la prudenza nelle riaperture; altri, come Lega e FI e Cambiamo, per il pressing opposto.

Però il pasticcio AstraZeneca ha modificato alcune delle carte in tavola, con incertezze a livello centrale e solito ordine sparso a livello regionale con il virus di Masaniello, quello sì senza vaccini, sempre pronto a manifestarsi. Quali i possibili riflessi politici? Se il piano vaccinale si allunga – e non è detto sia per forza un male – con l’ipotesi di prolungare lo stato di emergenza, è inevitabile che nella coalizione di larghe intese qualcuno metta il broncio e altri stiano a guardare per capire dove meglio posizionarsi.

Salvini è contrario, ma non può forzare la mano più di tanto: si è già visto in altre occasioni. La Meloni può attaccare con forza, ma anche lei non ha ragioni per picchiare troppo duro: se Draghi fallisce, trascina tutti con sé. E il governatore De Luca fa la faccia feroce che dura 24 ore: già visto anche questo.

Sotto traccia però si muovono altre cose. Intanto il fatto che dopo settimane in cui la Federazione o addirittura il partito unico di centrodestra con annessa candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, avevano monopolizzato il dibattito da quella parte, Salvini torni ad evocare, con tutto il sussiego che merita, la figura di Draghi per il Colle. Di sfuggita, stando attento a non sollevare polveroni, rispettoso delle volontà altrui. Tuttavia quella frasetta gettata lì – “Se mi dicono Draghi capo dello Stato rispondo, perché no?” – apre uno spiraglio significativo. Il presidente può essere uno solo, e Draghi e il Cav sono profili antitetici.

Insomma ci si può dividere sul piano vaccinale e ritrovarsi in sintonia nella corsa per l’elezione del successore di Mattarella. È una fisarmonica che si restringerà e allargherà tante volte e in modo sempre più sincopato all’avvicinarsi della seduta dei Grandi Elettori. Di frasette appiccicate qua e là dal leader Carroccio (che tuttavia non riesce ancora a trovare la quadra per il candidato sindaco a Milano, ed è un bel guaio) ce ne sono anche altre.

Per esempio quella sulla legge elettorale, campo minato per eccellenza. Salvini rilancia (“Ma a patto che si voti in fretta in Parlamento, senza lungaggini”) il Mattarellum, che obbliga alle coalizioni e all’indicazione del candidato premier prima del voto. Meccanismo che riporta le lancette dell’orologio politico indietro di oltre vent’anni, ai tempi del Polo e dell’Ulivo; del Pdl e dell’Unione. È una marcia del gambero che piace anche ad Enrico Letta e non a caso il segretario del Pd proprio il Mattarellum ha citato nel suo discorso di insediamento, sollevando ironie e perplessità.

Chissà se le parole di Salvini celano un messaggio indiretto per Letta. Anche qui si procede a intermittenza, con una volta in cui i due litigano e la successiva in cui si riconoscono l’un l’altro. È un asse al tempo stesso traballante e necessitato. Che si nutre dell’adesione all’agenda Draghi, da entrambi esaltata e sottoscritta. Per ora concerne l’azione dell’esecutivo, chissà se può tramutarsi in una condizione di convenienza anche nella scelta del prossimo inquilino del Quirinale.

Il richiamo al Mattarellum, come detto, non è neutro. Se il proporzionale fa diventare chi ti sta politicamente più vicino un acerrimo avversario visto che la pesca avviene nello stesso stagno elettorale, il maggioritario costringe a unire anche chi tanto vicino non è ma diventa indispensabile per vincere. Il proporzionale premia le identità, il maggioritario le aggregazioni. Il primo apre ad accordi ad urne chiuse dopo aver pesato i rispettivi rapporti di forza; il secondo impone intese il più larghe possibili, trascurando l’identità a favore dei vincoli di coalizione. Per motivi opposti ma paradossalmente convergenti, può risultare assai utile sia alla Lega che al Pd. A destra, sarebbe il mastice per coprire fin troppe crepe; a sinistra il collante per arginare il neo protagonismo di Conte e del suo M5S che punta addirittura alla maggioranza assoluta e lo inchioderebbe all’alleanza con i Democratici.

Si vedrà. Intanto il panorama politico continua ad essere caratterizzato da continui stop and go. Che non mutano il senso di marcia e la velocità del convoglio governativo senza tuttavia rinunciare a cercare di condizionarne il percorso. Per ora funziona così, in attesa che la campagna elettorale per le amministrative entri nel vivo. Poi di corsa verso la Finanziaria e l’immunità di gregge.


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