Enrico Letta (Pd) e Matteo Salvini (Lega)
3 minuti per la letturaMA SI PUO’ andare avanti così, cioè con partiti in continua fibrillazione, intenti a scrutare i sondaggi quasi fossero l’oracolo di Delfo (e non ne sono lontani quanto ad ambiguità nelle interpretazioni)?
Cinicamente potremmo dire che invece va benissimo così, perché non si disturba il manovratore Mario Draghi mentre i membri della sua coalizione si arrabattano ad inventarsi candidati sindaci di incerto se non basso profilo, tanto il problema per loro non è avere gente di peso alla guida delle città ma è piantare le proprie bandierine e farle garrire al vento dei talk e del web. Il cinismo in politica non costruisce niente e sottovalutare il ruolo che i sindaci avranno nella gestione della grande trasformazione che innesca il PNRR è indice di una classe politica che ha perso il senso del tempo in cui vive.
Tuttavia inutile piangere sul latte versato: ormai è così e probabilmente ne profitterà Milano che con Sala ha una figura che dovrebbe essere all’altezza del compito e che si trova alla testa di una città che potrà sfruttare le nuove circostanze, forse anche grazie ad un certo recupero delle performance regionali dopo i disastri della non dimenticata stagione del duo Fontana- Gallera. Il Sud i partiti sembrano snobbarlo. Napoli è seduta su un disastro economico e su una fragilità sociale che ci vorrà altro che la pace trovata fra De Luca, il PD e i Cinque Stelle con la convergenza sulla candidatura Manfredi per tirarla su. Che il centrodestra possa ribaltare la situazione affidandosi ad un magistrato ci sembra dubbio, anche se i lai della sinistra che ha da tempo immemorabile Emiliano in Puglia contro chi candida i magistrati (PM, per di più) ce li potevano proprio risparmiare.
Non parliamo della Calabria, terra problematica, che sembra più che altro teatro per dubbie manovre romane (da una parte e dall’altra dello schieramento). Tutto si concentra nei caminetti che i partiti hanno nella Capitale. E’ da lì che partono le scelte su cui poi si innestano le reti messe in piedi dai vari cacicchi territoriali. Si arriva a sceneggiate d’altri tempi.
A Bologna un gruppo di nostalgici del PCI dei “magnacucchi” (quello che espelleva nel 1950 i dirigenti Cucchi e Magnani perché non erano allineati con la politica filo URSS) si è rivolta al comitato di garanzia locale (che ha rimandato l’ultima valutazione a Roma) per denunciare che membri del partito sostengano alle primarie di coalizione una candidata che non è del PD contro uno del PD, come se si facesse una consultazione di quel tipo non per valutare quale può essere il miglior candidato per garantire un futuro alla città, ma una conta per non perdere una “poltrona” predestinata ad uno scelto dal loro gruppo dirigente. Non crediamo sia neppure un caso estremo, ma solo uno emblematico della contraddizione fra una strategia di vertice che a parole punta ad “allargare il campo”, ma in pratica accetta che si faccia solo se avviene nel perimetro che interessa gruppi dirigenti nazionali che si ibridano fra loro. Del resto non è che nel centrodestra ci sia quella differenza che i suoi leader provano a narrare.
Il “tridente romano” è un altro caso emblematico, dove si è costretti ad accettare come candidato quello della Meloni, non esattamente un gigante del panorama politico, ma per accontentare tutti lo si affianca con una candidata “prosindaco” (la fantasia dei politici per le etichette non si smentisce mai) che accontenta Salvini e un candidato assessore alla cultura che forse (forse) accontenta FI. Cosa li unisce? Il fatto che sono tutti e tre prodotti del sistema mediatico, tanto ormai fra l’Isola dei famosi e le candidature elettorali non è che ci sia questo abisso di differenza.
Qui torniamo però al punto iniziale. Benissimo: i partiti pasticciano coi loro giochetti, regolano le loro contese interne e intanto il governo Draghi va avanti (lui parla al G7, Grillo fa comparsate all’ambasciata cinese e Conte non ci va, ma sta zitto). Peccato che poi verrà il tempo in cui gli interventi previsti dal PNRR dovranno calarsi sui territori. Siamo sicuri che in quel momento basteranno i “poteri sostitutivi” prudentemente previsti da quel piano o non dovremo rimpiangere di non avere amministratori all’altezza?
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