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Il leader della Lega Matteo Salvini

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Il governo festeggia il raggiungimento delle 500mila vaccinazioni al giorno. Un segnale incoraggiante non solo per il traguardo raggiunto, ma perché dimostra che se si lavora con serietà gli obiettivi si conseguono e ci si trascina dietro il paese, come mostra la “sveglia” che si è data la Lombardia (il che non prova che prima sia stata denigrata, ma che c’era molto che non funzionava: traessero adesso qualche conclusione).

Nello stesso giorno l’Inps fa circolare una rivelazione sui risultati di quota 100, la mitica “liberazione” dal peso del lavoro voluta da Salvini con l’assenso trionfalistico di tutto il Conte 1: non solo meno persone del previsto sono corse a trarne profitto (e questo la dice lunga sulla paura della gente a lasciare un reddito da lavoro), ma soprattutto quelle che sono andate in pensione non hanno lasciato il posto a dei giovani o comunque ad altri.

La scarsità di occasioni di lavoro, contro cui l’inefficiente Anpal grillina si è rivelata solo una macchina per sprecare soldi, rimane un problema pesantissimo (aspettiamo che Draghi sull’onda del successo di Figliuolo faccia qualcosa anche in quella direzione).

Ieri era anche il giorno della consegna a Bruxelles del nostro PNRR, ovvero di un altro obiettivo raggiunto. Speriamo che i partiti traggano qualche insegnamento da questi successi, lasciando perdere di continuare a contemplarsi i rispettivi ombelichi mentre discettano sulle coalizioni necessarie per vincere le prossime elezioni che non si sa bene neppure quando verranno.

Perché è su questa incertezza che si arrovellano le varie forze politiche (e che si tiene il paese in una palude). Non è infatti indifferente se si voterà nella tarda primavera del 2022, cioè dopo l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale, o nel 2023 alla scadenza naturale della legislatura, perché si tratta di due scenari molto differenti, sebbene oggi non siamo in grado di dire con esattezza quali saranno.

Le dimissioni del governo in carica nelle mani del nuovo Presidente della Repubblica vengono in genere liquidate come un atto di cortesia che viene respinto. Per rendere più inquieti i sonni dei politici ricordiamo che quando Gronchi successe ad Einaudi a fine aprile 1955, Scelba che non voleva mollare la poltrona di presidente del Consiglio come gli chiedevano gli equilibri politici del momento, indirizzò al nuovo inquilino del Colle delle dimissioni dove si faceva intendere che erano di pura cortesia come per prassi e Gronchi rispose che giusto per quello era costretto a respingerle. Grande scandalo e Scelba dopo poco dovette cedere il posto a Segni. La storia non si ripete e quando accade è una farsa, ma insomma qualcosa può anche insegnare.

Più di questo lontanissimo precedente, conterà il fatto che in quel momento si dovranno fare i conti con due eventi: come i partiti usciranno dalla tornata elettorale dell’autunno e come riusciranno a gestire la successione a Mattarella. Poi naturalmente ci sarà da valutare il clima presente nel paese in termini di andamento della lotta alla pandemia e di ripresa o meno della nostra economia. Questi poi saranno fattori che giocheranno un ruolo ancor più pesante se si riuscirà ad arrivare alla scadenza naturale della legislatura. Pensare che allora si confronteranno i partiti più o meno come sono oggi è del tutto insensato.

Per questo tutti i discorsi che si fanno adesso sui campi più o meno larghi, sulle coalizioni da promuovere e da dare per scontate, appaiono chiacchiere da bar, o per dirla in modo più aderente ai tempi (coi bar poco frequentati e dove si parla d’altro), da talk show che per tenere desta l’attenzione ci devono inframmezzare il virologo di turno. Il paese sta già cambiando ed uscirà profondamente diverso dopo i prossimi mesi che saranno decisivi da più di un punto di vista. Ed è quello il paese che andrà alle urne quando sarà, vuoi nel 2022 o nel 2023, sarà bene saperlo.

È abbastanza curioso che a fronte di questa incertezza di tutto si parli nelle agorà-talk show, tranne che della riforma della legge elettorale, che è il tema dirimente dal momento che, comunque vada e qualunque sia la data del confronto, si voterà con un numero di seggi pesantemente ridotto e con collegi di dimensioni ardue da gestire. Immaginarsi che questo non apra la strada ad una competizione molto aspra e ricca di incertezze è puramente prova di semi-cecità.

È chiaro che si tratterà comunque di scommettere in gran parte al buio. Se si opta per un sistema maggioritario basato su coalizioni, si affronterà il problema di una geografia difficilmente modificabile almeno in partenza: un centrodestra obbligato, che però farà fatica a distribuire al suo interno le risorse, un centrosinistra che sconterà il problema della totale incognita della sua componente a Cinque Stelle che nessuno sa né come sarà, né quale consistenza potrà avere.

Se si opta per un sistema di tipo proporzionale si può giocare a favorire la scomposizione dei due campi che oggi cercano di sopravvivere, ma senza sapere né quanto la scomposizione si tradurrà in una frammentazione ingestibile, né come poi la scomposizione potrà trovare nel parlamento una sintesi che porti ad un governo di progetto piuttosto che ad un governo di momentanei accordi spartitori di convenienza.

Ragionare un poco su questi scenari farebbe bene a tutti.


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