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Il ministro Speranza e il premier Draghi

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Siamo al primo vero e proprio giro di boa del governo Draghi. Per fine aprile si vedrà se la campagna vaccinale fornisce i risultati sperati e consente una ripresa quasi normale dei ritmi di vita sociale e produttiva. Al tempo stesso si concluderà la fase di preparazione dei progetti da sottoporre a Bruxelles per ottenere i fondi del Next Generation UE (ora ridotti, si fa per dire, a 191 miliardi dai famosi 209 di cui si era favoleggiato). Non ci vuol molto a capire che a maggio arriveranno al pettine i nodi che le forze politiche affrontano ancora in modo ambiguo. Fra il resto è immaginabile che per allora la vicenda dei Cinque Stelle avrà fatto qualche passo avanti, perché va bene che Conte sia un maestro nel tirarla per le lunghe, ma non crediamo che possa andare oltre certi limiti. In parallelo si comincerà a vedere se la creazione delle “larghe intese” (per riprendere una locuzione che ha una sua storia) cara a Letta abbia o meno il potere di sciogliere i molti rebus che si porta dietro la determinazione dei candidati sindaco per la prova delle comunali d’autunno. Tutto questo delinea un passaggio non facile per il premier. Il nervosismo fra le forze politiche è palese ed è dato dall’incertezza del futuro. Essendo difficile prevedere se le due incognite di cui abbiamo parlato in apertura avranno un esito favorevole per il governo, almeno una quota delle forze presenti nella coalizione che lo sostiene si muove in maniera confusa. Ovvio che il più in difficoltà sia Salvini, ma le cose non sono facili neppure per Forza Italia. Il blocco di centrodestra è tenuto sotto pressione dalla Meloni che continua a martellare contro il governo e che può farlo senza pagare dazio: se andrà male come sostiene, potrà dire che l’aveva previsto; se andasse bene, sosterrà che non si è naufragati grazie alle pressioni della sua opposizione. Per queste ragioni la Lega soprattutto, ma anche Forza Italia con toni meno demagogici, continuano a cercare di presentarsi come componenti molto critiche di una coalizione a cui credono fino ad un certo punto. In questo caso però il rischio per loro è grande: magari se andrà male potranno anche evitare di lasciare tutto lo spazio alla Meloni, ma se andrà bene usciranno indebolite per la loro azione di lamentela continua. Ovviamente se andrà bene o male non sarà un fatto puramente oggettivo. Purtroppo in questi casi le percezioni dipendono dalle aspettative, dalle rappresentazioni che la gente si è costruita in questi lunghi mesi di crisi. Parliamo di fattori molto manipolabili, sicché è arduo immaginare come finirà, perché sappiamo benissimo che è del tutto escluso che un bel giorno terminerà tutto e ritorneremo tranquillamente al vecchio mondo di prima. Per questo tanto il governo quanto le forze politiche, specie quelle che davvero hanno capito che l’esperimento Draghi è una sorta di ultima occasione, devono lavorare di più a fare di tutto perché la lettura che l’opinione pubblica darà di quel che ci aspetta dopo il tornante dell’inizio dell’estate sia al massimo possibile capace di cogliere i miglioramenti della situazione e di interpretarli come l’inizio di una vera e propria ripresa e resilienza (tanto per usare parole canoniche). Sul fronte del governo l’operazione è un po’ meno difficile, soprattutto se si dedicherà qualche attenzione maggiore alla comunicazione. Il fronte delle vaccinazioni consente valutazioni più oggettive: il numero dei vaccinati, l’andamento della curva dei contagi sono dati che possono essere considerati nella loro realtà (poi ci saranno sempre i dietrologi, ma quella è una maledizione a cui non si può sfuggire del tutto). Più complicato sarà ottenere una ricezione obiettiva del piano per l’utilizzo dei fondi europei. Da un lato si sono lasciate crescere tante aspettative sul carattere miracolistico di quei fondi per cui troppi si aspettano che curino ferite verso le quali non possono fare nulla. Dal lato opposto gli effetti benefici di quei finanziamenti sul nostro sistema economico non saranno evidenti se non con un certo tempo. E’ una situazione che impatterà fortemente sulla sfida elettorale d’autunno, che i partiti si preparano a combattere con una certa esasperazione, il che significa con ricadute non facilmente assorbibili all’interno di ognuna delle due grandi coalizioni ormai in campo. Se ne vedranno gli effetti sui rapporti fra Lega, Fdi e FI, ma anche su quelli che corrono all’interno del blocco contrapposto, perché non è garantita la capacità di arrivare ad una amalgama gestibile fra PD, M5S ed un mondo piuttosto variegato di partitini e movimenti di modesto peso, ma molto sostenute dagli sponsor nelle varie testate dei media. Draghi non ha strumenti per tenere sotto controllo queste fibrillazioni, se non puntare sulla sua capacità di raggiungere risultati. Però non è detto che ciò basti: la storia mostra molti casi in cui convivono fiducia nelle capacità di un personaggio per così dire realizzatore e passioni per le zuffe politiche, che sollecitano una certa propensione per vedere gli scontri fra i gladiatori. Sarebbe davvero necessario in questo caso un movimento forte da parte di tutti coloro che sono in grado di “fare opinione” per isolare le zuffe e far crescere consenso intorno alla fatica di costruire la via d’uscita dalla grave crisi in cui ci è toccato di vivere. Vorrebbe dire che il Paese sa dare un grande senso a quella prospettiva di “solidarietà nazionale” che Mattarella ha avviato e che farebbe crescere in maniera notevole la nostra credibilità internazionale.


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